Omelia (04-11-2018) |
don Alberto Brignoli |
Che batosta... Ora la mia passione per la montagna non mi fa più sbuffare, di fronte alle salite affrontate per raggiungere - quelle poche volte che ancora riesco ad andare - una vetta o un rifugio alpino. Ma da ragazzino ero come la stragrande maggioranza dei preadolescenti: una vera e propria "piaga"... Per farmi arrivare alla meta della passeggiata bisognava avere la pazienza di rispondere alle mie innumerevoli richieste, tutte dello stesso tenore: "Ma quanto manca, ancora?". E la risposta non sempre paziente delle mie guide, ovvero dei miei superiori del Seminario o dei miei curati, aveva il più delle volte il tono della burla: "Non siamo lontani, dai!". In realtà, non ci trovavamo neppure alla metà del cammino...poi, però, ci si appassiona alla montagna anche attraverso queste forme, che nel corso degli anni sono divenute il mio medesimo stratagemma per far smuovere gli "smidollati" del CRE o dei campi scuola, allora ancora rigorosamente montani. Chissà se la nostra Guida, il nostro Maestro, avrà avuto il medesimo tono canzonatore, quando chiuse il suo dialogo con quello scriba saggio che gli si avvicinò per fargli una domanda da catechismo, "Qual è il primo di tutti i comandamenti?": domanda tanto diretta quanto inutile, visto che ne conosceva già molto bene la risposta. A me pare che Gesù non lo stesse prendendo in giro, quando gli rispose: "Non sei lontano dal regno di Dio": sia perché quello scriba non pareva affatto stanco di essere in cammino per giungere alla meta della perfezione, sia perché, forse, aveva davvero trovato il significato profondo del concetto di Regno di Dio che Gesù da tempo stava cercando di inculcare nelle folle, ma fino ad allora non era riuscito a farlo comprendere neppure ai Dodici. I quali - lo sappiamo bene dai racconti evangelici delle scorse domeniche - avevano in testa un Regno terreno, di potere e di dominio, simile e al tempo stesso in contrasto con i Regni di questo mondo; mentre Gesù insisteva da tempo sul servizio agli altri, specialmente ai più piccoli, come caratteristica fondamentale del Regno. Perché, invece, questo scriba, rappresentante di quelle autorità religiose così poco simpatiche a Gesù, aveva dimostrato di aver compreso il concetto di Regno di Dio, quando i suoi colleghi, in più occasioni, avevano rimproverato a Gesù di andare contro la Legge di Mosè di cui essi erano i garanti? E pensare che Gesù non aveva risposto proprio così bene alla domanda fattagli dallo scriba all'inizio del loro "siparietto": fossimo stati a un incontro di catechismo (o meglio di "dottrina") degli anni anteriori al Concilio Vaticano, anche Gesù avrebbe preso una "bacchettata" sulle mani dal suo curato o dal suo catechista! Infatti, alla domanda "Qual è il primo di tutti i comandamenti?", Gesù da buon ebreo avrebbe dovuto rispondere con il testo delle cosiddette Aseret Hadibberot, cioè le Dieci Parole, contenute nel Libro dell'Esodo, al capitolo 20: "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai". Questo, era il primo comandamento d'Israele. Invece, Gesù risponde con le parole dello Shemà' Israel, ovvero della preghiera ebraica più antica e più profonda, quasi una sorta di "Credo", da recitare ogni mattina e più volte nell'arco della giornata: "Ascolta Israele il Signore è nostro Dio. Il Signore è uno. Benedetto il Suo nome glorioso per sempre. E amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze". È il testo presente in Deuteronomio 6, al quale Gesù aggiunge un altro "comandamento" (comandamento per modo di dire...), ovvero quello presente nel Libro del Levitico, al capitolo19: "Amerai il tuo prossimo come te stesso, perché io sono il Signore". E termina, dicendo che non c'è nulla più importante di questi due comandamenti. Dal punto di vista della dottrina ebraica, Gesù alla domanda dello scriba ha risposto "toppando" alla grande. Per fare un paragone, anche se impreciso, sarebbe come se a un ragazzino, al catechismo, chiedessimo: "Dimmi i dieci comandamenti", e lui ci rispondesse: "Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente..." e via di seguito recitando tutto il Credo. E, non contento, aggiungesse pure: "Amiamoci a vicenda come Gesù ci ha amato". Il catechista direbbe: "Bravo: ma non è quello che ti ho chiesto". Questo "catechista" che è lo scriba interlocutore di Gesù, invece, gli risponde lodandolo: "Hai detto bene", e lo chiama addirittura "Maestro", riconoscendone l'autorità e l'autorevolezza. Cos'è che è scattato nella mente dello scriba che, invece di gridare all'errore o allo scandalo, concorda con l'apparente anomalia della risposta di Gesù? Scatta esattamente il concetto fondamentale del Regno di Dio nella mentalità e nell'insegnamento di Gesù, che ovviamente aveva ponderato la sua risposta sapendo bene ciò a cui voleva arrivare: ovvero, che il Regno di Dio non è un regno politico (forse questo era ciò che volevano i farisei e i sacerdoti nostalgici dei tempi del Re Salomone); non è nemmeno una posizione di potere o di privilegio (come volevano i Dodici); e non è neppure un insieme di comandamenti, di norme e di precetti che avevano come unico scopo quello di rendere culto a Dio (come esprimeva bene il primo comandamento d'Israele che Gesù avrebbe dovuto citare). Il Regno di Dio, invece, è proprio quello che lo scriba proclama chiudendo il suo dialogo con Gesù attraverso una delle professioni di fede più belle di tutto il Vangelo: "Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici". Tradotto oggi nella nostra vita di cristiani, suonerebbe così: che Dio esista, e che sia unico, non ci piove, lo sappiamo bene tutti. Ma forse non tutti sappiamo che la cosa più importante della vita di fede non è l'osservanza delle leggi, delle norme e dei precetti - sia pur sacrosanti - che la Chiesa ci insegna, e nemmeno tutti gli atti di culto che rivolgiamo a Dio (messe, sacramenti, preghiere, processioni, devozioni, corse in chiesa a ogni piè sospinto, ecc). Tutte cose belle e necessarie: ma se non amiamo Dio e i nostri fratelli con opere concrete di carità, tutte queste cose non servono assolutamente a nulla, e non rappresentano certo la chiave di accesso per il Regno dei Cieli. Che batosta... |