Omelia (11-11-2018) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Ha dato più di tutti gli altri, ma non per quantità Balza immediatamente agli occhi una commovente verità di fondo contenuta in queste pagine scritturali, del resto evidente anche ai nostri giorni: generosità e amore sincero verso il prossimo vengono palesate molto spesso dalle persone di condizioni umili, molto più che dai grandi uomini facoltosi. Persone semplici, spesso gravate da problemi economici e comunque costrette a sopravvivere con un salario indispensabile o con una minima pensione, sono tante volte più eloquenti in fatto di carità e soprattutto in loro traspare immediatamente che la carità è espressione della loro fede convinta. Tanti anni or sono, durante una conversazione fra confratelli studenti, una giovane laica ci faceva osservare come ingiustamente tantissime vecchiette devote e attente, costrette a sopravvivere con la minima pensione, passino quasi sempre inosservate quando donano alle chiese o ai conventi quel poco che consentono le loro scarse possibilità economiche: sebbene donino con abnegazione e generosità, le loro offerte sono pur sempre cifre irrilevanti, di scarso aiuto per la parrocchia e allora le si può considerare in secondo piano rispetto ad altri usando loro una riconoscenza blanda e fugace, ristretta a un velocissimo "grazie". E al loro defungere i funerali non sono mai in pompa magna. Al contrario, vi sono grandi encomi ed elogi funebri per le persone facoltose o di alto rango che avevano offerto grosse cifre senza però mettere a repentaglio la loro sicurezza economica, forti delle loro sostanziose risorse e talvolta anche elargendo denaro di provenienza illecita. Fanno scalpore i ricchi che donano il superfluo con ostentazione e ipocrisia, vengono gettati nel dimenticatoio tutti coloro che donano con gioia quel poco di cui sono capaci, spesso sacrificando il proprio salario o affrontando perniciose rinunce, animati da grande fede e da spiccata sensibilità per il bene della chiesa. Durante il mio primo anno in seminario tanti anni or sono, il Rettore ci informò di una signora che, per destinare una cifra considerevole al nostro istituto, aveva rinunciato a realizzare il necessario impianto di riscaldamento nella propria abitazione e io mi domandavo se non sarebbe stato meglio che realizzasse tale progetto per se stessa, considerando i capricci, gli sprechi e le spese improprie che non di rado ci concedevamo noi seminaristi. Non siamo affatto lontani dalla generosità di millanteria esistente ai tempi in cui si riferisce la pagina evangelica di oggi, quando entrando nel tempio di Gerusalemme vi era l'usanza di proclamare solennemente, per mezzo di appositi tromboni nella zona del tesoro, l'ammontare della cifra che si dava in donazione al luogo di culto: tutte le volte che ciascuno gettava del denaro nella cassa del tesoro poteva preconizzare a tutti quanto aveva donato, in modo che il popolo presente fosse al corrente della sua presunta generosità. Vi erano coloro che versavano grosse cifre non mancando di pavoneggiarsi, e altri che davano quanto era nelle loro possibilità dopo aver calcolato bene le spese necessarie per la sopravvivenza. Delle vedove, considerate socialmente abbandonate e indifese, nessuno si rendeva conto. Eccone una però che ora getta nel tesoro due monetine che (secondo le cifre dell'epoca) formano un soldo, ossia una cifretta minima e inconsistente che certo non avrebbe aiutato a risollevare il tempio da eventuali difficoltà. Pochi spiccioli per cui sarebbe stato anche ridicolo fare proclamazione attraverso le succitate trombe. Eppure Gesù afferma che questa donna ha donato "più di tutti gli altri", ossia molto più di ciò che hanno dato i ricchi e compiaciuti benefattori. Aveva dato lei molto più di tutti gli altri, non perché avesse versato effettivamente una cifra da capogiro, non perché la sua donazione superasse quelle che il tempio aveva già ricevuto, ma semplicemente perché aveva dato tutto ciò che aveva per vivere. E quello di cui disponeva per vivere era veramente poco. Si esalta qui non la quantità di denaro, ma la buona disposizione d'animo di chi lo dona, la sua generosità contrassegnata da umiltà e da grande fede. Questa donna, che non usa doppiezze o secondi fini nella sua donazione, con queste pochissime monetine che sono tutte le sue risorse dimostra di credere e di affidarsi al Dio al cui culto il tempio è dedicato, facendo anzi essa stessa un atto di culto e di devozione. Non si paragona a tutti gli altri benefattori né in peggio né in meglio, non si preoccupa di ostentare se stessa o di palesare la sua elargizione, ma semplicemente dona con gioia e con grande fede, ben sapendo che quel pochissimo denaro certamente le sarebbe servito per sopravvivere. Vede Dio nel tempio e non gli uomini presenti che presumono di lodare Dio con atti in realtà meschini e vanagloriosi. Così come la donna di Sarepta, anch'essa di umilissime condizioni e vedova, vede Dio nella persona dello sconosciuto Elia, poi identificato come un profeta. Quel piccolissimo pugno di farina nella giara e lo scarsissimo olio nell'orcio sono sufficienti a che Dio possa essere soddisfatto e ciò è provato dal prodigio della loro moltiplicazione. La piccola quantità di farina e di olio è preziosa agli occhi di Dio come preziosa agli del Signore è la piccola cifra versata dalla vedova al tempio. In ambedue i casi, chi opera con fede, umiltà e amore non perde la propria ricompensa, sebbene il brano evangelico di questo parli assai nascostamente. Paolo scrive ai Corinzi che "Il Signore ama chi dona con gioia" e "la carità non abbia finzioni" perché sia espressione della vera fede e della necessaria umiltà che la precede e non assume tanto importanza il dare, quanto il saper dare. Cioè il donare con amore e disinteressatamente senza aspettarsi di ricevere in contraccambio, seppure il contraccambio lo riceveremo. Il fatto che tante volte invece si doni solamente il superfluo o l'innecessario per presunzione o vanagloria mi fa pensare che non è fuori luogo un'espressione di Oscar Wilde: "Ci sono tante cose che butteremmo via volentieri, se non temessimo che qualcun altro le raccolga." |