Omelia (11-11-2018) |
diac. Vito Calella |
A chi consegno il «tutto» della mia povertà? C'è un proverbio popolare che dice: «Non si dà niente per niente». Quando dobbiamo scegliere di donare qualcosa di noi stessi, di ciò che siamo e di ciò che abbiamo, è normale fare i conti e valutare il ritorno che ne avremo. Il dono gratuito, cioè la donazione totale di noi stessi, presuppone la sofferenza profonda del perdere e del perdersi per gli altri: è un'offerta senza ritorno gratificante e immediato per noi stessi. Ma la forza salvifica di questo dono a fondo perduto prevede una ricompensa. Quella vedova di Zarepta aveva valutato la sua morte e quella di suo figlio, quando ospitò Elia pellegrino, il quale gli aveva chiesto di cuocere l'ultima porzione di «farina nella giara e di olio nell'orcio», per dargli da mangiare in quel tempo di carestia in tutta la regione. Ma dette quel poco che restava, il «tutto» ciò che aveva, confidando nella parola di Dio, per mezzo della bocca del profeta: «Così dice il Signore: la farina della giara non si esaurirà e l'orcio dell'olio non si svuoterà finché il Signore non farà piovere sulla terra». Quella vedova di Gerusalemme «aveva gettato tutto ciò che aveva, la sua vita intera», con quel gesto radicale di depositare nella cassa delle offerte del tempio quei pochissimi e irrilevanti spiccioli che gli restavano, forse sperando nell'assistenza sociale del sistema del tempio di Gerusalemme. Tra le testimonianze di due povere vedove che dettero tutto ciò che avevano, abbiamo ascoltato, dalla lettera agli Ebrei, la testimonianza di Gesù, il ricordo, efficace ancora oggi, del «sacrificio di se stesso» nella morte di croce: lo fece «una volta per tutte», per «annullare il peccato», quello nostro, «presentandosi al cospetto di Dio in nostro favore». Da sommo sacerdote, entrò «non in un santuario fatto da mani d'uomo (il tempio di Gerusalemme), figura di quello vero, ma nel cielo stesso». Il tempio di Gerusalemme per noi cristiani è una costruzione diventata simbolo di quattro realtà più grandi: la prima è il corpo glorificato di Gesù (Gv 2, 21), la seconda è il nostro corpo abitazione dello Spirito Santo (1Cor 6,19), la terza è la comunità cristiana tempio vivo dello Spirito (1 Cor 3, 16-17) e la quarta è la dimora definitiva del cielo (Eb 9, 24), cioè la comunione piena con Dio nella vita eterna. In sintesi, il tempio è simbolo del Regno di Dio. «Non si dà niente per niente»: il dono totale della povertà di cibo della vedova di Zarepta corrisponde alla sua fiducia incondizionata nella Parola del Signore, che promette la sopravvivenza fino alla fine della carestia, realizzando ciò che abbiamo pregato con il salmo: «Il Signore sostiene l'orfano e la vedova»; il dono totale della povertà di quegli unici spiccioli di denaro della vedova di Gerusalemme corrisponde alla sua fiducia incondizionata nell'istituzione del tempio di Gerusalemme e alla speranza di essere aiutata dai sacerdoti e dagli scribi, cioè dalle autorità dell'istituzione religiosa. Fu una pia illusione: lei aveva confidato nella predicazione degli scribi, senza rendersi conto, ingenuamente, che quelle autorità religiose in realtà «divoravano le case delle vedove» ingiustamente. Che senso ha quel gesto di «gettare tutto ciò che aveva, la sua vita intera» in una delle casse delle offerte del tempio di Gerusalemme, se quel tempio sarebbe stato completamente distrutto? A seguire il racconto del Vangelo di Marco, Gesù annunciò la distruzione di quel tempio: «Non rimarrà pietra su pietra» (Mc 13, 2b). Il gesto radicale della vedova di Gerusalemme diventa un simbolo più profondo per noi cristiani. Se «non si dà niente per niente», siamo disposti a consegnare il «tutto» della nostra povertà per il tempio nuovo del corpo glorificato di Gesù nostro Signore, cioè orientare tutto ciò che siamo e abbiamo per la fede nel Cristo risorto, nostro Signore? Siamo disposti a «gettare tutto ciò che abbiamo, la nostra vita intera», povera e fragile, per il dono dello Spirito Santo che abita il nostro corpo, suo tempio nuovo? Siamo disposti a consegnare il poco che siamo e abbiamo per il tempio nuovo della nostra comunità cristiana, cioè per l'unità nella carità qui in terra? Siamo disposti a consegnarci totalmente all'orizzonte del cielo, cioè al tempio nuovo della vita eterna di comunione tra tutti noi nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo? L'esempio di due povere vedove, perché di esse è il Regno di Dio, ci ha stimolati oggi a rispondere alla domanda: «A chi consegno il "tutto" della mia povertà?» Per chi sto spendendo la mia vita? È per ricevere i «like» degli altri a servizio della mia autorealizzazione, o è per costruire il nuovo tempio di Dio che è il suo Regno? |