Omelia (11-11-2018) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di don Paolo Ricciardi È sempre sorprendente lo sguardo di Gesù. Se non ci fosse stato quello sguardo, il gesto di quella donna sarebbe passato inosservato. C'erano nel tempio altri personaggi ben più importanti, altri gesti ben più appariscenti. Sembra anche a noi di vederla, quella povera donna vedova: schiva, appartata, quasi vergognandosi della pochezza della sua offerta. Di solito si fa osservare che le vedove, in quel tipo di società, rappresentavano una delle categorie più disagiate: senza alcun sostegno economico, spesso con figli a carico, erano costrette spesso a mendicare un aiuto per poter sopravvivere. Ecco perché la vedova, nella Bibbia, è il simbolo per eccellenza della povertà di ordine materiale. Chi può dire quanto quella donna soffrisse per il fatto di sentirsi sola, senza più una voce amica, senza più un gesto di tenerezza? "Tu mi manchi", è un'espressione che nella vita di coppia serve a sottolineare l'importanza che ha la presenza della persona amata, tanto che basta una sia pur breve separazione a creare un senso di dolorosa solitudine. Certamente doveva essere pesante per la vedova del vangelo la situazione di povertà economica, ma ancora più penosa questa esclusione dal mondo degli affetti che permette di affrontare, quando i due si sostengono a vicenda, anche le situazioni più preoccupanti. Sola, non riesce a pensare a se stessa. Ma si offre a Dio e al prossimo. "Due monetine, che fanno un soldo": erano monete da niente, forse un equivalente dei nostri dieci centesimi, il possesso dei poveri, una somma insufficiente per andare avanti. Sono preziose dunque queste monete, anche se sono due spiccioli, indispensabili, altrimenti non si mangia: è giusto che la mano si stringa a non perderle, a custodirle con l'ansia della sopravvivenza. Ma questa mano povera di una donna sola, invece di trattenere quelle monete, si apre con assoluta determinazione sopra "il tesoro" del tempio, gettandovi la sua vita. Dà, cioè, quella sua minima sicurezza, la sua piccola risorsa per mantenersi, la sua goccia di certezza umana. E quei due spiccioli, che in mezzo alle monete tintinnanti dei ricchi non contano nulla, come i nostri centesimi di rame che neanche fanno rumore, in realtà brillano come un'immensa luce, perché c'è dentro il cuore. Il cuore di quella donna povera è ricco. Come a quel tempo, anche oggi c'è tanta gente, pure in chiesa, che ama farsi notare. Ci sono persone generosissime che però cercano il riconoscimento, magari una targa ricordo del gesto grandioso di carità. C'è una gara d'onore e di stima che a poco a poco imprigiona il cuore. "Saluti" e "primi posti", "lunghe preghiere" e le "molte monete" gettate nel tesoro del culto possono essere a fin di se stessi, una ostentata e multicolore carta da regalo, un "ricco" involucro con dentro il nulla. Ma l'ostentazione stessa del proprio presunto merito si scontra con la parola severa di una "condanna più grave". Il tanto e il poco, la ricchezza e la povertà, l'umiltà e l'arroganza, ciò che conta e ciò che non conta, ancora una volta ricevono dall'episodio del vangelo un grande insegnamento, dato dal rovesciamento del normale giudizio. C'è una logica del vangelo illogica secondo il mondo. È il ribaltamento dei valori per i quali l'io viene prima, sempre prima del "tu" e del "noi". È lo scompiglio del quieto vivere di chi "paga le decime" e crede, in tal modo, di amare. Non c'è proprio niente da fare: ci sarà un momento in cui non varranno nulla le nostre opere "visibili", ma emergeranno tanti "invisibili" che hanno vissuto d'amore, nel nascondimento, nella fedeltà quotidiana, portando avanti il mondo. Ci è richiesto il cuore, cioè il tutto; non qualcosa di noi, poco o tanto che sia non importa, ma l'intenzione e la verità del dono, ci è richiesto l'amore. La "povera vedova" ama. Non si chiede quale debba essere la misura del suo amore, non calcola il superfluo perché non possiede nemmeno il necessario, ma ciò che ha - ossia ciò che è - lo dona tutto, senza esitare. Fa conto su Dio. E lo sguardo d'amore che accompagna il suo gesto la riempie di una ricchezza mai vista, inimmaginabile all'uomo. "Tutti hanno dato parte del loro superfluo, lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva". Questa osservazione vuol essere un invito ad apprezzare con uno stupore sempre più immediato e partecipe il grande valore della gratuità. Ciò che conta non è la misura o la quantità di quello che possiamo dare, ma il come definito da quel gratuitamente che sta a cuore a Gesù (cf Mt 10, 8). Può essere che anche noi in certi momenti ci sentiamo mancanti: non abbiamo tempo per la preghiera, non abbiamo la generosità che ci vorrebbe per aiutare i genitori, i figli, gli amici, i colleghi, non abbiamo soldi sufficienti per sostenere le iniziative buone di ordine umanitario che ci sollecitano a dare. Ci troviamo nella stessa condizione della povera vedova di cui ci ha oggi parlato il vangelo. Dobbiamo per questo rinunciare a compiere quel che lei ha saputo dare, considerando troppo insignificante ogni piccolo gesto che sia cavato fuori dalla nostra povertà? Vale la pena di ripetere che importante è il come, cioè la gratuità. Le nostre comunità vanno avanti grazie a persone che, come la vedova, sanno dare poco, me per loro è il tutto. Se è poco quello che possiamo dare, sarà Dio stesso a colmare le nostre insufficienze. Ma lo stesso Dio si commuove vedendo la nostra generosità nascosta in quel piccolo gesto. Lo stesso Dio provvede, come ha fatto con un'altra vedova, quella di Sarepta di Sidone. Quella donna aveva dato tutto ciò che le rimaneva al profeta, e Dio non le ha fatto mancare nulla per tutto il tempo della siccità. Sono molti i modi di dare tutto quello che si ha: in certi momenti può bastare un sorriso o una preghiera a favore di una persona in difficoltà o un po' del proprio tempo dedicato all'ascolto di qualcuno che ha bisogno di sentirsi meno solo. La capacità di dare quando si pensa di non aver nulla ha in sé qualcosa di divino. Ecco perché può diventare motivo di meraviglia e di gioia per Dio, nostro Padre, che donandoci un giorno suo Figlio, ci ha voluto dare tutto il suo amore. Così come il gesto della vedova del vangelo ha commosso Gesù che di lì a poco, giunto ormai alla vigilia della sua passione, avrebbe fatto dono di tutta la sua vita. |