Omelia (18-11-2018) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Marco 13,24-32 Ultima domenica del Tempo Ordinario; tra sette giorni celebreremo la solennità di Cristo, re dell'universo, dopodiché avrà inizio l'Avvento, e con esso un nuovo anno liturgico. Il Vangelo di Marco, che ci ha accompagnato da gennaio fino ad oggi, volge al termine: prima di affrontare i giorni tragici della Passione, il Signore consegna ai suoi amici alcune profezie, alzando il velo sulle ultime realtà. Quali realtà? le Sue, quelle di Israele, oppure del mondo intero? Gli interlocutori di Gesù interpretarono il Suo insegnamento - "non passerà questa generazione..." - nella terza accezione, come annuncio che la fine del mondo era alle porte. I fatti storici successivi, confermarono la convinzione della prima generazione di cristiani circa l'avvento prossimo e definitivo del Cristo glorioso. L'Impero sferrò contro le prime comunità di fedeli una persecuzione tale, da scoraggiare anche le speranze più ostinate sulla ‘tenutà della nuova fede nel lungo periodo... La Chiesa aveva ben pochi motivi - forse nessuno - per ipotizzare un avvenire. Senza avvenire, non c'è neppure progettazione; si attende semplicemente la fine; una fine veloce, non certo indolore, come quella del Maestro... Anche in questo, soprattutto in questo, la vita della comunità seguiva l'esempio, il modello della vita del Fondatore. Così la passione di Cristo riviveva nella passione della Chiesa. E rivive ogni volta che una comunità, o un singolo fedele, rischia la vita per testimoniare la fede. Ora, voi capite che quando si vive una tale situazione di precarietà, si pensa subito a... come sarà dopo... nell'aldilà, etc. etc. Le prime lettere di Paolo esprimono il tormento, gli interrogativi più che legittimi dei primi cristiani sulla vita eterna. Segno questo che la Rivelazione non fu subito chiara a tutti... La Scrittura contiene non solo le verità su Dio, ma anche quelle che riguardano il popolo di Dio, cioè noi; e la verità umana più ingombrante, forse, è che a noi ci vuole tempo per capire Dio. Le parole di Cristo non sono state immediatamente comprese dagli apostoli e dalla generazione successiva. Dobbiamo accettare questo ritardo nel comprendere: è umano! Questo ritardo nel comprendere ha generato equivoci di non poco conto; e ancora ne genererà. Tuttavia "il tempo lavora per noi", scriveva Pierpaolo Pasolini, e il tempo rende ragione della fede, la quale vive di attesa e sa aspettare. Il tempo di Avvento che ritorna ogni anno, è il tempo dell'attesa: il prossimo mese rifletteremo insieme, se lo vorrete, per alcune serate, sul senso di questa attesa (del Natale), un paradosso tra i più singolari e significativi del cristianesimo: (se Cristo è già venuto) chi stiamo attendendo? c'è ancora motivo per attendere? La condizione - forse sarebbe meglio chiamarla "il segreto" - è proprio tener desta l'attesa, cioè il desiderio: l'attesa che la Verità si chiarisca; il desiderio che la Verità si realizzi. Purtroppo, molti si sono stancati di aspettare, si sono arresi; il desiderio si è affievolito per la delusione di non vederlo realizzato. E, visto che l'uomo, senza desideri non può stare, ecco che la curiosità, il desiderio della vita eterna, hanno lasciato il posto ad altri desideri, a nuove curiosità; che poi, nuove non sono: anche tra i (sedicenti) cristiani, c'è chi crede che, dopo la morte, ci sia un'altra vita, non eterna, non definitiva,... un'altra vita terrena; per qualcuno sarà migliore, per altri peggiore... Dipende dai meriti acquistati nella vita presente... o forse, chissà, non dipende da niente e da nessuno: che sia migliore, o peggiore, è del tutto casuale. Ma, se è così, perché credere in una reincarnazione sola? perché non ipotizzarne due, o tre, o tante, o infinite? Questa che resta un'ipotesi, una tentazione, noi cristiani non possiamo accettarla, per due motivi, almeno: la successione di vite terrene è la risultante di una ipervalutazione delle capacità umane, cui fa riscontro una sostanziale inutilità di Dio... Provo a spiegarmi: perché credere in un Dio provvidente, in un Dio misericordioso, che lavora con noi e non contro di noi, che integra, per così dire, con il suo Amore, ciò che manca alle nostre capacità di amare, che ci vuole con sé a godere della Sua pienezza, della Sua pace, della Sua gioia? Se, tanto, dopo la morte si rinasce ad un'altra vita terrena, ancora condizionata dal tempo e dallo spazio, ancora a termine, nella quale possiamo tuttavia e comunque continuare l'opera rimasta incompiuta nella vita passata, non ha senso sperare nell'eternità, soprattutto non ha senso sperare in Dio. Le sofferenze non finiranno, la fatica non finirà, gli errori saranno ancora possibili... Errori che tuttavia speriamo di correggere ritornando sulla terra con un'altra identità; forse anche con un'altra anima... Un'altra anima? Oddio, che confusione! Già fatichiamo e gestirne una!... L'Ipotesi della reincarnazione, annulla letteralmente il valore di Dio: non c'è più bisogno di Lui: abbiamo ancora e sempre una possibilità umana di riscatto, un'altra chance di conversione, di progresso, in una prossima vita. Ultima precisazione, non proprio irrilevante: il progresso appena citato, non è finalizzato all'incontro con Dio, ma ad una vita migliore della prima, su questa terra, conquistata, anzi no, meritata vivendo bene quella presente. Sempre che il caso non si intrometta... In questa visione della realtà - ripeto, non cristiana! - la perfezione non consiste naturalmente nella fede, come ci insegna san Giovanni nel suo Vangelo - credere nelle opere di Cristo -; in ultima analisi, la perfezione sarebbe frutto - il condizionale è d'obbligo! - dell'opera autonoma e autosufficiente dell'uomo. Via Dio, via la Rivelazione, via l'Incarnazione,... che cosa resta? Resta l'uomo, soltanto l'uomo... Ma, allora, la tentazione del cinismo diventa irresistibile. Senza Dio siamo ben poco. La misura della nostra grandezza, la cifra del nostro valore, è proporzionale alla (nostra) relazione con Dio! Vivere senza di Lui è come vivere senza Amore: intendo l'Amore più forte della morte; intendo l'Amore che si dona senza pretendere; intendo l'Amore che lascia sempre una porta aperta... Un Amore così non viene dall'uomo; da solo, l'uomo non è in grado neppure di concepirlo, un Amore così! Ecco il senso della nostra attesa, ecco l'oggetto del nostro desiderio! |