Omelia (18-11-2018) |
don Lucio D'Abbraccio |
Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno Gesù ci invita a vigilare, ad essere attenti al suo ritorno. Nel Vangelo - di non facile comprensione - viene usato un linguaggio apocalittico. Ogni anno la liturgia della Parola, alla fine dell'anno liturgico, propone il discorso "escatologico" (ossia sulle realtà "ultime") di Gesù. Il Signore è appena uscito dal tempio e, con i suoi discepoli si dirige verso il monte degli ulivi da dove si può ammirare la bellezza e lo splendore del tempio di Gerusalemme. I discepoli, nel guardare questa meravigliosa e maestosa costruzione, ne restano colpiti ma Gesù dice che di quella costruzione non rimarrà pietra su pietra e, servendosi di alcuni versetti tratti dai libri profetici, afferma che «dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte» (il testo greco dice: "saranno scosse"). Gesù, con questo discorso, non vuole spaventare i discepoli ma vuol far capire loro che questo mondo e questa creazione vanno verso una fine, verso quel "Giorno del Signore" già invocato dai credenti di Israele, giorno di salvezza e di giudizio. Oggi, la scienza parla di fine del mondo: il mondo - dice - ha un'età; ha avuto un inizio ed avrà una fine. Ma quando avverrà la fine? Coloro che dicono di sapere quando il mondo finirà non attingono dal Vangelo. Le loro supposizioni nascono o da notizie false, che spesso si leggono sui social network, o dalla fervida fantasia. Il peccato ha rovinato il mondo e ogni struttura in modo tanto profondo che nessuna soluzione umana è possibile: solo un intervento divino può cambiare le cose. Infatti Dio interverrà per creare un nuovo universo liberato dal male e dalla corruzione. Ciò significa che avverrà la fine del mondo corrotto, ma non la fine del mondo. L'evangelista Marco prosegue dicendo che il Signore parla della parabola del fico a cui seguono una serie di precisazioni convergenti sull'imminenza del tempo della parusìa: «Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte» (Vangelo). L'annuncio della venuta del Signore non aliena il credente dall'oggi, anzi gli chiede la capacità di aderire al presente, di amare la terra in cui vive. Attraverso questa parabola Cristo Signore non ci esorta alla paura, ma alla fiducia, alla vigilanza della sua venuta: «Vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria». Sì, il Figlio dell'uomo, cioè Gesù, verrà nella gloria, come egli stesso ha dichiarato con autorevolezza. La parabola del fico, dunque, è un invito a saper leggere i segni dei tempi e, soprattutto, a riconoscere la misteriosa presenza di Gesù nell'oggi della nostra storia. A volte ci lasciamo vincere dalle suggestioni del male, dalla paura della fine, da chi è senza speranza e ci trasmette un profondo senso di sfiducia e di malessere. In verità, Gesù ci dice che è sempre con noi e che accompagna il nostro cammino quotidiano. Il ritorno del Signore sarà la manifestazione gloriosa della sua potenza: egli si rivelerà al mondo con il Dio vivente, il Signore della vita. Sicuri di questa sua manifestazione dobbiamo leggere con speranza la nostra storia, tutto quello che ci accade attorno. Leggere i segni dei tempi vuol dire fare discernimento: lasciarsi cioè illuminare dallo Spirito Santo per vedere i segni di grazia, di amore e di bene che il Signore ci offre ogni giorno. Anche il profeta Daniele parla della fine dei tempi che non vede come una catastrofe, ma come il giorno della salvezza per tutte le genti, che sono sotto l'oppressione. Il profeta racconta, infatti, dell'apparizione dell'arcangelo Michele che segna l'inizio del combattimento definitivo per gli imperi del mondo. Non è, dunque, un annuncio della fine del mondo, ma un invito a far spazio nella nostra vita al regno di Dio. Coloro che non si lasceranno sedurre dalle tentazioni mondane ma accoglieranno il Signore nella loro vita, lo testimonieranno con le loro opere e resisteranno saldi nella fede, si salveranno: «Sarà un tempo di angoscia [...]; in quel tempo sarà salvato [...], chiunque si troverà scritto nel libro. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre» (I Lettura). Che cosa può significare per noi, oggi, attendere il ritorno di Gesù? Significa che dobbiamo essere vigilanti e non preoccuparci di quando queste cose avverranno. Vigilare, dunque, è l'unico modo di attendere il Signore che «si è assiso per sempre alla destra di Dio» (II Lettura). San Basilio, con profonda intelligenza spirituale ha scritto: «Che cosa è proprio del cristiano? Vigilare ogni giorno e ogni ora, sapendo che nell'ora che non pensiamo il Signore viene». Preoccupiamoci, quindi, di impegnare tutto il tempo che Dio ci dona, trasformandolo in opere di bene, perché sono queste che conducono alla salvezza sapendo che «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». |