Omelia (18-11-2018)
don Luciano Cantini
Tra presente e futuro

Dalla pianta di fico

È possibile che un fico insegni? e cosa mai ci può insegnare un fico?

Nel periodo invernale si spoglia del fogliame così la sua trasformazione in primavera è particolarmente spettacolare ed è un segno dell'arrivo dell'estate, il tempo del raccolto e dell'abbondanza. Gesù ci chiede di osservare questa trasformazione che precede l'evidente rigogliosità del fico, prima ancora dei frutti, prima ancora delle foglie: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie.

È adesso che il fico è spoglio che dobbiamo osservarlo con cura, ora che sembra non dare segnali di vita per cogliere l'istante in cui il suo ramo diventa tenero.

Dobbiamo imparare ad osservare, nel dipanarsi della storia, i segni dei tempi, non quelli troppo evidenti e fuorvianti, quanto l'impercettibile intenerirsi del ramo o il timido spuntare delle gemme. È il fico spoglio dell'inverno che ci interessa, il tempo della improduttività, quello della crisi perché in essi è nascosta la forza che permetterà al ramo di intenerirsi. A condizioni ambientali favorevoli le piante riprendono le attività vitali: assorbono acqua dalle radici, scambiano sostanze gassose con l'esterno e trasportano altre sostanze, come gli zuccheri, da una parte all'altra del tronco e dei rami; tutto prima ancora che le gemme diventino verdi e nascano le foglie. Tutto questo è invisibile agli occhi ma non meno reale e presente.

Siamo chiamati a discernere il presente e comprenderne il senso, è il dono della profezia che è capace di capire che c'è qualcosa che sta iniziando: Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? (Is 43,19)

Abbiamo bisogno di guardare quello che sta cominciando, non quello che termina: è la differenza tra la buona e la cattiva notizia, tra il vangelo e la catastrofe. Non si tratta di chiudere gli occhi davanti ad una realtà negativa, quanto cercare di intravederne il seme positivo che potrà svilupparsi; siamo colpiti perché il sole si oscurerà ma è il segno della venuta de il Figlio dell'uomo; non ci spaventi il cielo e la terra che passeranno piuttosto individuiamo quelle parole che non passeranno.


Quando vedrete accadere queste cose

Le previsioni catastrofiche sul futuro alimentano la nostra ansia e la nostra paura, ma anche le rassicurazioni ireniche e fasulle che ci vengono dalla finanza e dalla politica che muovono l'immaginazione non certo verso orizzonti rosei. Il linguaggio apocalittico che descrive la fine della storia e del mondo con i suoi sconvolgimenti non è per spaventarci perché la Scrittura parla anche di un grande banchetto in cui il Signore stesso passerà a servirci (cfr Lc 12,35ss), dell'incontro di Dio con l'umanità come quello della sposa con lo sposo (cfr Ap 22,17ss). Di fatto Gesù vuole aiutare i suoi discepoli a cogliere la provvisorietà della vita nel suo divenire, neanche il tempio dell'Altissimo è assoluto perché non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta (Mc 13,2). Non è il tempio il luogo della presenza di Dio, ma la storia che sta andando verso un orizzonte preciso, l'incontro definitivo col Padre. «E si va di inizio in inizio, attraverso inizi sempre nuovi» (Gregorio di Nissa).


Il cielo e la terra passeranno

Nel mondo di oggi non c'è passato, non c'è futuro. C'è solo il presente che, come una patologia psichica, si rinnova quotidianamente alimentandosi di ciò che trova e che sarà gettato via al più presto (A.M. Iacono, il Tirreno, 12.11.18), è la descrizione sintetica del nostro post-modernismo.

Perdendo la dimensione storica perdiamo anche la relazione con Dio perché se il nostro è il tempo presente quello di Dio è il futuro. Da quell'avvenire che è il suo tempo il Signore dà luce al nostro tempo. Il presente che ci viene donato non è materiale di consumo, ma è da vivere in funzione dell'orizzonte verso cui Dio ci sospinge. Dobbiamo liberarci dalle paure che il futuro sembra riservarci sfuggendo la tentazione del "tutto e subito", non dobbiamo avere paura della nostra fragilità che frustra il delirio di onnipotenza, perché ci rivela il bisogno e la capacità di amore, la capacità di aiutarci, di incontrarci, di creare legami. È l'amore, di cui è intrisa ogni parola del Signore, che non passerà.