Omelia (30-09-2018) |
don Lucio D'Abbraccio |
Chi non è contro di noi è per noi L'Autore del libro dei Numeri narra un episodio collegato alla costituzione dei settanta destinati ad aiutare Mosè nella guida del popolo incamminato verso la terra promessa. Lo spirito di Mosè viene donato da Dio ai settanta anziani radunati, dallo stesso Mosè, intorno alla tenda, ma anche su due uomini, Eldad e Medad, che non erano andati alla riunione. «I due si misero a profetizzare nell'accampamento. Un giovane corse ad annunciarlo a Mosè e disse: "Eldad e Medad profetizzano nell'accampamento"». Giosuè si oppone, sostenendo che il profetare è riservato a pochi: «Mosè, mio signore, impediscili!». Mosè invece, che considera la profezia un arricchimento per il popolo risponde a Giosuè dicendo: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!» (I Lettura). Dio è libero di scegliere i suoi interventi salvifici. Non si deve essere gelosi dei doni di Dio, del suo spirito; non ci si deve considerare come dei padroni, con il potere di fissare noi il cammino, gli spazi e la quantità delle grazie del Signore. Al contrario: dove constatiamo un dono di Dio ce ne dobbiamo rallegrare. Se ce ne dispiacciamo significa che ricerchiamo noi stessi, non la gloria di Dio e il servizio del prossimo e della Chiesa. Gesù nel Vangelo, infatti, ci esorta a non diventare gelosi nel bene, orgogliosi nelle nostre sicurezze, sprezzanti verso coloro che sembrano lontani da Dio. L'evangelista Marco, riprendendo il breve dialogo fra Gesù e Giovanni «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva»; «Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi». Bellissima la risposta del Signore. Gesù vuole far capire a Giovanni e agli altri che non devono scandalizzarsi perché Dio ama ogni persona e se noi amiamo Dio dobbiamo avere un cuore grande come il Suo. Quante volte, purtroppo, usiamo la fede non per fare del bene agli altri, ma per allontanarli dal bene con la nostra superbia, il nostro egoismo, la nostra arroganza; quante volte usiamo i doni del Signore non per cercare chi è lontano, ma per condannare chi si sforza di avvicinarsi al Signore e così scoraggiamo la sua sincera ricerca. Papa Francesco, durante l'omelia tenuta a Santa Marta, ha detto: «Ma guarda, quale scandalo! Non si può vivere così! Abbiamo perduto i valori... Adesso tutti hanno il diritto di entrare in chiesa, anche i divorziati, tutti. Ma dove stiamo?» Il Sommo Pontefice dà un nome a queste critiche e pubbliche denunce definendole «lo scandalo degli ipocriti, l'ipocrisia di coloro che si credono salvati per i propri meriti esterni». Il Vescovo di Roma prosegue dicendo che Gesù stesso mostra un atteggiamento durissimo nei confronti di queste persone che «esteriormente mostrano "tutto bello"» ma dentro hanno «putredine», marciume. «Sepolcri imbiancati», li definisce Cristo. Gesù continua dicendo: «Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa». Se Gesù ha parlato in questo modo, ci deve essere una ragione. Vuol dire che esistono persone buone, generose, caritatevoli etc. eppure queste persone non frequentano la Chiesa. Perché? Perché o nessuno ha mai parlato loro di Gesù Cristo oppure perché sono rimaste scandalizzate dalla nostra ipocrisia, come giustamente ha detto il nostro amato Papa Francesco. Gesù, dunque, esorta i discepoli e noi a saper sempre vedere e stimare il bene; chiede una profonda conversione che elimini ogni mentalità di privilegio e di esclusivismo religioso; invita ad avere una reale apertura verso coloro che sono fuori della comunità, senza giudicare e senza pregiudizi. Poi li esorta anche a guardarsi dal dare scandalo verso chi è più debole nella fede ("i piccoli"). Lo scandalo è condannato come una colpa gravissima, che intacca la società e la vita di ogni persona. Gli scandali, infatti, sono impedimenti per la salvezza, impedimenti per il vero bene, che noi possiamo mettere sulla strada dei fratelli con la nostra cattiva condotta. Gesù ci dice di accogliere nel suo nome i piccoli e gli umili, ma quante volte abbiamo rifiutato di dare accoglienza, di fare carità, ai bisognosi, ai poveri, agli emarginati, agli anziani, agli ammalati? Non è questo uno scandalo per la comunità? Attraverso questi nostri comportamenti non cristiani non ci comportiamo da ipocriti? Da sepolcri imbiancati? Quante volte, purtroppo, attraverso la televisione e non solo, sentiamo parlare dello sfruttamento degli operai, dello sperpero che fanno delle loro ricchezze senza preoccuparsi di chi è nell'indigenza? L'apostolo Giacomo si rivolge ai ricchi e li avverte dicendo loro che invece di impiegare la ricchezza per andare incontro ai poveri hanno preferito accumularla e lasciarla intaccare dalla ruggine. Sulle vergogne dell'ingiustizia, Giacomo invoca e annuncia il giudizio di Dio: «Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi!» (II Lettura). Non possiamo salvarci con le nostre forze senza la grazia di Dio, senza l'umiltà, la carità. Papa Francesco nell'Esortazione apostolica Gaudete et exsultate scrive: «... è bene ricordare spesso che esiste una gerarchia delle virtù, che ci invita a cercare l'essenziale. Il primato appartiene alle virtù teologali, che hanno Dio come oggetto e motivo. E al centro c'è la carità. San Paolo dice che ciò che conta veramente è "la fede che si rende operosa per mezzo della carità" (Gal 5, 6). Siamo chiamati a curare attentamente la carità: "Chi ama l'altro ha adempiuto la Legge [...] pienezza della Legge infatti è la carità" (Rm 13, 8.10). Perché "tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso" (Gal 5, 14). Detto in altre parole: in mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni, Gesù apre una breccia che permette di distinguere due volti, quello del Padre e quello del fratello. Non ci consegna due formule o due precetti in più. Ci consegna due volti, o meglio, uno solo, quello di Dio che si riflette in molti. Perché in ogni fratello, specialmente nel più piccolo, fragile, indifeso e bisognoso, è presente l'immagine stessa di Dio. Infatti, con gli scarti di questa umanità vulnerabile, alla fine del tempo, il Signore plasmerà la sua ultima opera d'arte. Poiché "che cosa resta, che cosa ha valore nella vita, quali ricchezze non svaniscono? Sicuramente due: il Signore e il prossimo. Queste due ricchezze non svaniscono!"». (n. 60-61). Concludo con le parole di San Giovanni Crisostomo: «Niente può renderti imitatore di Cristo, come il prenderti cura del prossimo. Anche se digiunassi e dormissi per terra..., ma poi non ti prendi cura del prossimo, tu non hai fatto niente di grande e resti lontano dal Modello». |