Omelia (21-10-2018) |
don Lucio D'Abbraccio |
Il Figlio dell'uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti Il Vangelo di questa XXIX domenica del tempo ordinario ci fa intravedere la strada della conversione, la strada del cambiamento, dell'umiltà, del servizio. Gli apostoli Giacomo e Giovanni pongono a Gesù una domanda: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10, 37). Da questa richiesta si intuisce subito che i due apostoli ancora non hanno capito niente dello stile di Dio, della sapienza di Dio! Loro ragionavano come ragiona tantissima gente. Essi pensavano che lo scopo della vita fosse esclusivamente l'affermazione sugli altri. Da questa mentalità nasce la lotta per emergere, la passione per il dominio, la ricerca del potere e del posto prestigioso, la smania di avere sempre di più. Quanto è distante la sapienza di Dio da quella degli uomini! Gli apostoli pregavano, ma pregavano male. Credevano nel Signore, ma a modo loro. Per questo Gesù risponde: «Voi non sapete quello che chiedete» (Mc 10, 38). È come se il Maestro volesse dire: "Voi state chiedendo sciocchezze e Dio evidentemente non ascolterà mai coloro che gli domandano stupidaggini". Il prestigio, il potere, il successo, la gloria, l'onore, le grandezze umane, davanti a Dio sono sciocchezze, perché l'Onnipotente pensa tutto nella luce dell'eternità. Ecco allora la controdomanda di Gesù: «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato» (Mc 10, 38-40). Con questa risposta Gesù vuole far capire ai due apostoli che la sua gloria sarà la Croce, il suo trono sarà un supplizio. I due apostoli, ma anche gli altri dieci, erano ancora immaturi per comprendere questo discorso, tanto è vero che Gesù, a questo punto, precisa il suo pensiero e mette davanti agli apostoli due strade: quella che porta a Dio e quella che allontana da Lui. L'evangelista, infatti, scrive che Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono» (Mc 10, 42). Il mondo, purtroppo, è assestato di potere. Più l'uomo si allontana da Dio - che è la vera grandezza - più ha bisogno del piedistallo del dominio, della vanità, della prepotenza, della vanagloria, dell'esibizione, dell'apparire. Per il prestigio, per la gloria, per il potere, per una poltrona, cosa non farebbe l'uomo! Questo accade perché abbiamo rifiutato Dio. Nel nostro cuore non c'è Dio ma il nostro Io. Però Gesù, prosegue l'evangelista, continua il suo discorso e dice: «Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10, 43-44). Questa è la strada che porta a Dio: l'umiltà, il servizio. Questa è la vera grandezza, la vera gloria! È una strada difficile, stretta, ma è la strada della vera felicità. Gesù conclude il suo discorso dicendo: «Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 45). Quel sangue versato sulla croce, dunque, non è una forma di potere, bensì il gesto concreto del Figlio di Dio che ci ha amato. Governare non è spadroneggiare ma servire. Amare è donare la vita per gli altri, per i fratelli e anche per i propri nemici. Ci salva quel sangue versato dal Figlio di Dio perché è un gesto libero del Maestro. È un atto d'amore. Il vero discepolo sa di dover seguire la stessa via tracciata dal Maestro. Ma nella libertà e nella gioia di donarsi. Anche Isaia, descrivendo la figura del servo del Signore (il quale è la prefigurazione di Gesù) dice che, attraverso la sua umiliazione e la sua sofferenza, il servo realizza la volontà salvifica di Dio. Il servo - prosegue il profeta -, prendendo su di sé i peccati della moltitudine, diventa sacrificio espiatorio per gli altri e porta a compimento il piano del Signore. Infatti Isaia scrive: «Il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità» (I Lettura). Gesù, sommo sacerdote, conosce e comprende la nostra debolezza, avendo anch'egli condiviso le nostre difficoltà «infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (II Lettura). Per questo motivo, ogni volta che cadiamo dobbiamo rialzarci ed accostarci - si legge nella lettera agli Ebrei - «con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno». |