Siamo quasi alla conclusione dell'anno liturgico e Gesù ci parla delle cose "escatologiche", cioè delle cose ultime (dal greco éskhatos 'ultimo'), relative alla fine. Chiariamoci: noi rischiamo di leggere questo Vangelo con gli occhi della nostra cultura, cioè in una chiave paurosa, di fantascientifica distruzione di tutto. Gesù ne parla usando un linguaggio particolare, apocalittico, e ne parla per liberarci da questo affanno: quando tutto sarà sconvolto e sta per finire, proprio lì arriva Lui per fare qualcosa di meraviglioso! Se siamo nella sua amicizia, nel bene, perché dovremmo temere?
Gesù nel Vangelo ci parla in primo luogo del compimento della sua vicenda personale: da una situazione di tribolazione, ovvero la sua passione e morte, a una meravigliosa novità, la sua risurrezione! Gli eventi descritti sono segno di un capovolgimento della sorte: è finito un mondo, se ne inaugura uno nuovo; è finito il mondo schiavo del male e della morte e inizia il mondo di Dio, il regno dell'amore! Teniamo conto che quando si parla di fine del mondo, noi pensiamo subito alla fine di tutto; ma nella Bibbia si ragiona con categorie diverse, più concrete: spesso per fine del mondo si intende la fine di un mondo particolare, di una epoca precisa, di una cultura.
Al contempo Gesù apre le nostre menti al compimento della storia e del cosmo intero, del quale non annuncia tanto la distruzione, quanto il compimento: alla fine dei tempi, quando tutto sta per distruggersi e finire, proprio lì si vedrà il Signore glorioso venire sulle nubi per fare una cosa meravigliosa: trasfigurare tutto il creato e renderlo eterno, separando definitivamente il bene dal male, che sarà definitivamente eliminato. Non parliamo tanto della fine del mondo, ma del fine del mondo! Questo ci riempie di gioia e non ci deresponsabilizza in un vago: vabbè che poi c'è il paradiso... al contrario, ci impegna nella responsabilità: sappiamo che il mondo di Dio è amore, giustizia, pace, libertà nella verità e che alla fine tutti i germogli di bene saranno portati a compimento da Lui; dobbiamo dunque impegnarci per costruire ogni giorno un pezzetto di cielo in noi e fuori di noi!
Questo ci dice qualcosa di importante anche per la nostra esperienza quotidiana di Dio. Si è parlato di un tempo di tribolazione che porta al venir meno del sole e della luna: nella creazione questi astri sono posti da Dio per regolare il giorno e la notte; erano l'orologio degli antichi e rappresentano i punti di riferimenti sicuri nella vita. Quando non c'è più il sole vuol dire che il tempo sta finendo, che i punti di riferimento stanno venendo meno: quante volte proprio quei momenti di tribolazione dove sembra crollare tutto, dove quelle cose che per noi erano fondamentali vengono meno, non sono la fine di tutto ma sono le nostre grandi occasioni per incontrare il Signore che ci viene incontro e far esperienza di Lui! La tribolazione può essere un luogo dove crollano le false certezze, dove uno inizia a chiedersi cosa vale e cosa no, dando più importanza a cose prima ritenute banali e viceversa. Dobbiamo imparare l'arte di valorizzare le situazioni della vita come un nuovo, di imparare a guardare ogni cosa come a un nuovo punto di partenza: questo è vivere in uno stato pasquale, in cui si va alla novità, al compimento, anche attraverso rinunce e perdite che sono in realtà distacchi da qualcosa per passare a qualcosa di più grande: al Padre e al suo infinito amore. Si tratta di fare pasqua. E' vero dunque: Cielo e terra passeranno! Quando la vita viene toccata e tutto traballa, io devo sapere a chi guardare, chi c'è dietro a tutto, chi è l'unico che resta, che è eterno, che mi sa parlare davvero, le cui parole non passano. Tutto passa, solo Dio resta!
Dunque: Cosa conta davvero? Conta avere una relazione vera con Lui, il solo che mi dà l'eternità, che è più importante del sole, della luna, dei nostri progetti. Ricordiamolo: Dio ha sempre qualcosa di più grande da darci. Il problema non è se le cose finiscono, ma se stiamo vivendo uniti all'Eterno, se stiamo passando alle cose nuove ed eterne.