Imparare da Gesù, imparare dagli ultimi
Confesso che la difficoltà del testo mi ha chiesto di dare un'occhiata a quanto tempo fa ci siamo detti ascoltando queste parole e innesto su una riflessione che già conosciamo alcune intuizioni raccolte ascoltando e pregando insieme.
Ci viene chiesto di guardare, osservare con attenzione per non perdere parole, gesti, segni importanti e che purtroppo rischiamo di perdere per strada, come rischiava di essere perso per strada un gesto, (quello della vedova povera) tanto insignificante da rischiare di passare inosservato (rispetto alla rumorosa e plateale offerta di chi dava parte del proprio superfluo); eppure proprio quello è stato posto all'attenzione dei discepoli da parte di Gesù, che li ha chiamati a sé e ha detto loro (uso il linguaggio di un amico con il quale parlavo questa settimana): guardate, sono i piccoli gesti, le piccole cose che fanno la differenza! Anche i bambini del catechismo se ne sono accorti: ma quelli lì che hanno messo tutti quei soldi nel tesoro del tempio, non se ne sono accorti che c'era una donna povera vicino a loro? Anche oggi, tutto quello che appare roboante e che saremo invitati a vedere, (sole che si oscura stelle e astri che cadono, sconvolgimento delle potenze dei cieli), rischia di togliere spazio a quello che è meno visibile perché ordinario, perché appartiene alla vita di tutti i giorni e che con parole che appartengono a don Daniele Simonazzi mi piace chiamare il miracolo della tenerezza. Certo tutto quello che anticipa Gesù è secondo il linguaggio apocalittico dell'epoca. Lui però invita a vivere non il futuro che verrà, ma il presente, e il presente è rappresentato dal fico, e dalla sua tenerezza, una tenerezza che è già, che possiamo verificare!
Nel vangelo Gesù ci chiede di imparare. In questo ultimo mese la mia insistenza sul fatto che Gesù impari è stata forte. Siamo chiamati ad imparare da lui che è il maestro (Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore come il vangelo di Matteo ci ricorda), ma teniamo presente che anche Gesù impara: impara dalle folle, guardandole, che per andare nella giusta direzione è necessario essere misericordiosi, saper piangere, essere poveri in spirito, miti, cercare la giustizia; impara a fare della sua vita un dono proprio dalla vedova di domenica scorsa che, come dice il vangelo aveva gettato in Dio tutta la sua vita; e oggi ci chiede di imparare la tenerezza. "Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina". Anche qui segni di speranza, che ricordo, alcuni anni fa mi sembrava di poter cogliere in un testo di P. Stefani che spiega come il fico è la pianta che, in primavera, mette le foglie per ultima; i fichi primaticci sono invece tra i primi frutti dell'anno e, in quanto tali, facevano parte dell'offerta delle primizie portata al tempio (cfr. Dt 26, 2).
Qui io leggo in controluce la promessa di Gesù: gli ultimi saranno i primi. Tre considerazioni molto semplici allora:
1) Imparare dal fico vuol dire imparare dalle cose di casa, perché tutti in Palestina avevano un fico piantato vicino a casa loro. Dalle cose di tutti giorni, dalla vita che viviamo e che vivono i nostri fratelli; imparare dalle cose di casa vuol dire essere persone umanissime che parlano un linguaggio umanissimo; come Gesù, che ha vissuto fino in fondo la profondità dell'esperienza umana. Gesù parla di donne e di monete, di pastori e agricoltori, di campi e di deserti, di piante e di animali.
2) C'è speranza allora, per tutti coloro i quali si sentono gli ultimi, c'è speranza per tutti i poveri, i diseredati, gli ammalati, i disperati, perché anche loro hanno la loro primizia da offrire.
3) Il Signore chiama la sua chiesa ad imparare dal fico: per poter portare frutto e offrirlo è necessario imparare dagli ultimi, dai poveri, dai diseredati, dai disperati.
Celebriamo la seconda giornata mondiale dei poveri e forse il modo migliore per celebrarla è imparare da loro. In un suo libro, don Primo Mazzolari comincia così la sua riflessione sulla parrocchia: la parrocchia a servizio dei poveri. Che cosa è una parrocchia senza poveri? È come una casa senza bambini, anzi, forse ancora più triste! Siamo così abituati a chiese senza poveri, che abbiamo l'impressione di starci bene. Più avanti esplicita, in piena sintonia, ciò che vuole trasmettere: la parrocchia a servizio dei poveri, vuol dire semplicemente amare di più chi ha bisogno di essere amato di più e non lasciare fuori questi o quelli dal nostro amore.
E penso a quante opportunità, occasioni, segni, perdo di vista. Pensando a Zaccheo (don Primo lo ricorda nel suo libro), e al fatto che restituiva tutto il maltolto e donava ai poveri quanto gli restava, capisco e posso dire anche a parole che la chiesa è e comincia dove qualcuno fa posto, nella sua anima, nella sua vita, nella sua casa ai poveri, ma non sono capace di viverlo. Zaccheo su una pianta di fico (il sicomoro è di quella famiglia) ci era salito, forse dalla pianta di fico è stato il primo ad imparare.