Per dare testimonianza alla verità
«Sei tu il re dei Giudei?»
Povero Pilato! [e poveri noi] gli hanno portato una gatta da pelare, una questione religiosa intrigata e per lui incomprensibile che è stata "buttata in politica". Quando le carte si mescolano, e sono bravi prestigiatori a farlo, difficilmente ci si capisce qualche cosa perché siamo indotti ad osservare altrove e non dove avviene la manipolazione. Così succede anche quando la politica "la butta in religione" usando simboli e linguaggi ma non certo il senso vero della realtà religiosa. Tutto è equivocato (messo alla pari) e si perdono le priorità.
Più che una affermazione teologica l'istituzione della festa di Cristo Re fu una reazione alla situazione socio-politica del tempo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà (Pio XI, enciclica Ubi arcano Dei, 1922). Già Leone XIII affermava [Annum sacrum,1889] che Gesù Cristo è «re e signore di tutte le cose», sostenendone l'universalità della sua signoria che «non si estende solo ai popoli che professano la fede cattolica [...], ma abbraccia anche tutti coloro che sono privi della fede cristiana». Da qui si origina la prospettiva della Chiesa che è posta per «estendere» e «dilatare» il regno di Cristo nel mondo [Cfr Leone XIII, "Sancta Dei civitas",1880].
Questa intuizione dei papi, figlia del loro tempo, non è meno vera nella nostra contemporaneità in cui c'è grande confusione tra fede e prassi, tra vangelo e il modo di considerare le relazioni. La festa di Cristo Re dell'Universo che il Concilio Vaticano II reinterpreta in senso universale ed escatologico è un forte richiamo ai cristiani di oggi affascinati da idee sovraniste così lontane dallo spirito evangelico.
In una recente riunione di coordinamento delle Caritas di un vicariato si è discusso sulla priorità degli italiani nei confronti degli stranieri, come se essere nati in una parte diversa del mondo rendesse gli uomini meno uomini, non fratelli ma parenti alla lontana, "figli di un Dio minore".
Sono forse io Giudeo?
L'affermazione di Pilato è la significativa di una sindrome diffusa; la prima Sono forse io Giudeo? ci pone davanti le separazioni derivanti dalle origini e storie personali; la seconda: La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me testimonia che ogni appartenenza non è mai totale e porta in sé distinzioni e divergenze.
C'è da domandarsi cosa muove le persone, quali sentimenti, quali verità sono il motore della vita, e per noi cristiani quale "vangelo" crediamo.
La rivista Nigrizia ha pubblicato qualche mese fa una lettera di p. Teresino Serra al Ministro dell'Interno, in cui scrive: "Molti preti la pensano come te. Sono preti che seguono il tuo vangelo, non quello di Cristo, loro maestro". È una espressione dura, molto dura, che deve indurci a riflettere e domandarci: "Chi è il Signore della mia vita?".
Non si tratta d valutare una adesione intellettuale, neppure sentimentale e tanto meno rituale. Ricordiamoci la raccomandazione di Giovanni «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3,18). Quello che conta davvero sono le scelte, gli atteggiamenti, i comportamenti concreti, le relazioni di ogni giorno che mi rivelano il cuore, la verità di me, il vangelo in cui credo, "chi è il Signore della mia vita".
Troppo spesso i criteri sono altri rispetto al Vangelo di Cristo quando diamo priorità ai suggerimenti della ragione nella ricerca di equilibrismi e compromessi che dal punto di vista umano danno la sensazione di un comportamento saggio e ben ponderato. Ma la saggezza degli uomini non sempre si raccorda alla sapienza del Vangelo: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23). La saggezza umana è dettata dalla prudenza, dallo spirito di conservazione, dall'egoismo, manca dello slancio profetico, lungimirante capace di proiettarci oltre il presente in una visione che i cristiani chiamano escatologica: la fine della storia in cui il Signore dell'universo ha dato appuntamento agli uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione (Ap5,9).
Il mio regno non è di questo mondo
Quando Gesù afferma Il mio regno non è di questo mondo, non è per proiettarsi e proiettarci in una realtà diversa ma per affermare che i criteri di potere dei regni umani non hanno nulla a che fare con la sua regalità che il frutto del dono della sua vita. Credere in Cristo re dell'universo significa tradurre nella vita la richiesta di san Paolo: Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale,... spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo... umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,5-8).
Viviamo in un mondo appiattito su orizzonti di basso respiro, segnati dall'egoismo, dalle chiusure, dalle divisioni, dalle rivendicazioni di un nazionalismo di ritorno, dobbiamo ribellarci quando è calpestata la dignità della persona, quando l'interesse privato sacrifica il bene comune, dobbiamo essere capaci di scelte cariche della forza rivoluzionaria del Vangelo per dare testimonianza alla verità.
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