Omelia (25-11-2018)
don Alberto Brignoli
Un Re che è la Verità

Pensiamo a quante frasi, quanti discorsi facciamo, ogni giorno, nei quali usiamo la parola "verità" o comunque parliamo di verità. "Dimmi la verità" non è solo il ritornello di una famosa canzone "vintage", ma è una delle richieste più "gettonate" in un dialogo a due nel quale si voglia far luce su una situazione non chiara. Lo chiede la madre al figlio che ha combinato qualcosa, lo chiedono un uomo o una donna al proprio partner quando temono di non potersi più fidare di lui, lo chiede il malato a un familiare che cerca in ogni modo di nascondergli la gravità della sua situazione, e via dicendo. E in molti casi, la risposta non corrisponde a verità, almeno da un punto di vista oggettivo: non sempre, infatti, si risponde in conformità a come realmente stanno le cose. Tutti sanno quanto sia importante evitare di essere brutalmente obiettivi con un malato in fase terminale; così come un ragazzo sa bene che non è conveniente (per lui!) che i suoi genitori sappiano tutto sul suo giro di amicizie e di frequentazioni. Lo stesso dicasi di un rapporto d'amore o di amicizia che sta per andare in frantumi, dove la conoscenza della verità nuda e cruda rischia veramente di vanificare in pochi secondi un difficile lavoro di ricostruzione, che dura magari da anni.
In poche parole, "fare" la verità e "dire" la verità non coincidono affatto: non sempre, perlomeno. Occorre essere capaci di valutare bene le situazioni nelle quali ci si trova e scegliere - se non è possibile il meglio - quantomeno il male minore. Perché, comunque, la cosa più importante tra le due è "fare" la verità; perché "fare" la verità significa costruirla, crearla, realizzarla, plasmarla. E questo implica sempre uno sforzo, un coinvolgimento, una fatica, un sacrificio, che ci rende più veri e più credibili rispetto a chi, invece, "dice" la verità a volte in maniera brutale, fredda, oggettiva, perché, di fatto, è molto più comodo fare così che accettare lo sforzo di costruire la verità. Tant'è, poi, ci si giustifica dicendo: "Io dico la verità, perché dico sempre in faccia ciò che penso"; dimenticandosi tuttavia che ciò presuppone come vera anche la seconda parte della frase, ossia che prima di parlare si sia pensato a ciò che si diceva...
E non è finita qui, perché manca ancora qualcosa per riuscire ad avere un'idea corretta di verità. Ammesso, infatti, che si riesca a "fare" la verità, a costruirla con sforzo e fatica per il bene della nostra e dell'altrui vita, occorre fare un altro passaggio, forse il più difficile: quello di saper distinguere tra "avere" e "essere", ossia tra "avere la verità" e "essere dalla verità". Ed è il nocciolo della questione non solo del brano di Vangelo di oggi, ma del mistero della Solennità che celebriamo chiudendo l'Anno Liturgico, ossia quello della Regalità di Cristo. Quando pensiamo al concetto di "regalità" (anche se per noi sudditi della Repubblica non è facile da concettualizzare rispetto a chi è suddito di una corona) pensiamo a qualcuno che comanda, che guida, che governa, e a qualcun altro che si fa comandare, si lascia guidare ed è governato, possibilmente nella docilità e senza opporre resistenza, perché ciò comporterebbe una recrudescienza negli atteggiamenti magari già dispotici del sovrano. E il sovrano può permettersi l'uso di una forza impositiva per il rispetto delle leggi perché dà per scontato di avere sempre ragione, di avere la verità in mano, di possedere la verità, e quindi di poter usare ogni mezzo a propria disposizione per imporla agli altri. Forse in una democrazia l'atteggiamento è diverso perché una carta costituzionale è comunque sovrana a chiunque governi; anche se poi, nel concreto quotidiano, chi ha il potere ha sempre ragione, o perlomeno crede di averla, perché ha pure il potere di attuarla, convinto nella stragrande maggioranza dei casi di ricercare il bene comune, per poi invece cadere nel banale atteggiamento di fare i propri interessi e quelli del proprio gruppetto di amici...cose ben note a tutti...perché sono le cose di questo mondo, le cose dei "regni di questo mondo", in cui appunto il sovrano comanda e il suddito è al suo servizio.
Oggi però festeggiamo un regno che non è di quaggiù, un regno che lungo tutto quest'anno, da quando ci è stato detto che era qui vicino e bisognava convertirsi e credere al Vangelo (era il 21 gennaio), Gesù ce lo ha manifestato, rivelato, svelato, per ciò che veramente è: non un luogo in cui un sovrano "ha" la verità, la impone ai suoi sudditi ed essi devono mettersi al suo servizio (come accade nei regni di questo mondo), ma un luogo in cui il re "è" la Verità, la rivela ai suoi amici (eh, già, non li chiama più servi, ma amici) e soprattutto è lui a mettersi al loro servizio, fino all'ultimo, fino alle estreme conseguenze di questa scelta, che non coincidono solamente con un gesto come quello di lavare i piedi ai propri amici, ma che portano il re ad accettare di dare la vita per i propri amici.
E l'anno liturgico si conclude proprio con il momento iniziale di questa "vita donata", quello del processo di fronte a un rappresentante dei poteri di questo mondo, che crede di "avere" la verità, di possederla in quanto giudice, mentre rimane scioccato di fronte a un uomo che invece di "avere" la verità si preoccupa di "essere dalla verità", di essere fatto di verità. Al punto che Pilato, confuso, al termine di questo interrogatorio, concluderà con quella celebre domanda rimasta senza risposta: "Che cos'è la verità?". Lui sapeva bene chi aveva la verità in mano, cioè chi detiene il potere; ma di fronte a uno che si proclama re e che rinuncia ad avere la verità perché preferisce esserla, non sa trovare risposta, e risolverà le cose nella maniera più immediata e semplice, mettendo in croce il Re.
Ma se a noi piace stare dalla parte del nostro Re, non ci sono dubbi: tralasciamo di "avere" in mano la verità e cerchiamo di "essere" dalla parte della Verità. Che è fatta, fondamentalmente, di due sole cose: servizio e amore.