Omelia (02-12-2018)
padre Gian Franco Scarpitta
Prepariamoci a ciò che abbiamo già

Comincia un nuovo anno liturgico con una serie di celebrazioni che ci accompagneranno per i prossimi dodici mesi, prima fra tutte quella dell'arrivo del Signore. Comincia oggi e riguarda lo spazio di poche settimane nel quale siamo invitati a predisporre l'animo alla celebrazione della nascita nella carne del Figlio di Dio che a Betlemme si rende Figlio dell'Uomo nelle povere vesti di un bambino. E tuttavia questo non è sufficiente.
Il concetto di Avvento venne introdotto nel cristianesimo per contrapporre l'idea pagana di"avvento" (cioè venuta, arrivo) di un imperatore o di una divinità a cui gli uomini dovevano rendere culto. All'arrivo imminente di un personaggio pagano i cristiani contrapposero la concezione di Cristo "veniente", colui che era, che è e che viene, intendendo identificare quindi Cristo come il nostro avvenire oltre che come Presente vivo ed effettivo. Cristo Signore è "Colui che viene", che entra nella nostra vita, si rende presente e attivo, partecipa delle nostre ansie e dei nostri problemi, facendo proprie le nostre sofferenze e visitandoci giorno per giorno con le sue continue, ineffabili, manifestazioni. Gesù viene continuamente, ma anche a noi è richiesto di attenderlo e di andargli incontro in ogni occasione in cui decide di farsi trovare. Sopportare con pazienza le difficoltà e accettare il dolore e la prova quando queste debbano incombere nella nostra vita è una maniera di accogliere Cristo che patisce in noi, immedesimandoci nella sua passione di croce e anzi completando i suoi patimenti con i nostri. Nel dolore è sempre Cristo che si crocifigge in noi invitandoci a condividere il nostro patire con quello della sua croce redentiva. Ciò tuttavia non senza che la croce si trasformi in occasione di gloria e di esultanza: siamo invitati a coltivare la speranza che alla fine della prova vi sarà sempre per noi la vittoria e in tal caso è il Cristo risorto a "venire" nella nostra gioia realizzando in noi la sua stessa gloria di vincitore sul dolore e sulla morte. Parimenti che nella prova e nella sofferenza, l'"avvento" di Cristo si realizza anche nel raggiungimento dei nostri traguardi e ogni volta che si concludano le nostre attese. Come pure Cristo "viene", cioè si manifesta, ci interpella e ci chiama a rapporto, nell'ordinarietà della nostra vita, nel vissuto feriale di tutti i giorni. La fede è l'unica prospettiva che ci consente di cogliere la realtà di questo continuo "avvento" del Signore e di questa "venuta - presenza" che altrimenti sarebbe impossibile percepire nella sola esperienza sensoriale. In questa prospettiva siamo certi di poter esperire che non solo Dio esiste, ma che ricompensa quelli che lo cercano (Eb11, 6); essa comporta semplicemente l'accettazione della possibilità della sua venuta, l'accoglienza e l'attesa fiduciosa e disinteressata. Nella fede concepiamo che Dio viene e che noi lo attendiamo di volta in volta. Questo del resto esprime il profeta Geremia nel brano odierno, che si riferisce alla liberazione imminente del popolo d'Israele dalle oppressioni dell'esilio: la speranza e la fiducia in Dio verrà ripagata con la liberazione e con la salvezza definitiva che sono un riflesso della risultante generale della perseveranza nella fede.
Ma il significato più importante che il termine "avvento" ebbe alle origini è determinato dal fatto che Cristo è il nostro futuro: non solamente egli "viene" quotidianamente e in ogni circostanza del vissuto, ma Verrà un giorno definitivamente nella gloria nel giorno a noi ignoto del giudizio, quando il male sarà definitivamente sconfitto. Le allusioni dell'evangelista Luca sono abbastanza inquietanti e severe e accennano addirittura alla paura che proveranno gli uomini per ciò che dovrà accadere, come se gli uomini dovessero aspettarsi un giudizio spietato e severo. E tale in effetti sarà per coloro che non avranno voluto persistere al presente nella vita secondo il Signore, prediligendo il peccato e l'ingiustizia alla misericordia di Dio. Ma il giudizio sarà un incontro gioioso per tutti gli uomini che avranno saputo incontrare il Signore come presente nell'oggi della storia.
Le prime comunità cristiane attendevano talora con ansia e apprensione il ritorno del Messia che sarebbe sopraggiunto "sulle nubi del cielo", in forma spettacolare, vivace e grandiosa, poiché credevano che il giorno del suo ritorno sarebbe stato imminente. La successiva riflessione portò tuttavia a considerare che la venuta finale si realizzerà senz'altro, ma in un giorno che a noi non è stabilito conoscere, che essa si rivelerà in un tempo a noi ignoto ma che in tutti i modi il Veniente è già presente nella nostra storia e attendere speranzosi non vuol dire distoglierci dai buoni propositi attuali.
L'Avvento è quindi Gesù che ora c'è e che verrà, il Veniente che ci si prospetta come il nostro Avvenire per il quale viviamo nell'attesa e nella speranza che non vanno tradotte nell'ottica di frustrazione e di abbandono al timore servile, ma coltivate nella fiducia e nella perseveranza nel bene, convinti che il Signore che vedremo un giorno faccia a faccia è lo stesso Cristo che vediamo adesso nella fede, sia pure come attraverso uno specchio (1Cor 13, 12).
Dalla fine del IV secolo in poi la Chiesa, senza nulla togliere ai significati precedenti ma anzi con l'intento di accrescerne ulteriormente la portata, ha voluto estendere il significato di Avvento anche alle quattro settimane che precedono la celebrazione della Nascita del nostro Salvatore, cosicché tuttora noi predisponiamo l'animo alla Festa con questo periodo che intercorre dalla prima Domenica di Dicembre al giorno 25 in modo tale che mentre attendiamo la celebrazione della gioia dell'Incarnazione possiamo al contempo considerare che comunque Cristo è sempre colui che viene e colui che verrà, il nostro presente e il nostro futuro che ci rammenta l'attualità di un evento passato. Particolarmente in queste settimane quindi siamo inseriti nel tempo della speranza, che è attesa di qualcosa che certamente colmerà le nostre lacune spirituali, dandoci le ragioni della gioia dell'attesa e allo stesso tempo invitandoci a non disperdere l'occasione propizia che ci si dischiude. L'occasione dell'incontro futuro di cui il presente è caparra.