Omelia (02-12-2018)
don Giacomo Falco Brini
Per non edulcorare la fede

Sono trascorse un paio di settimane dall'aver sentito Gesù pronunciare parole apocalittiche nel vangelo domenicale. Con il sopraggiungere della 1a Domenica di Avvento, le riascoltiamo annunciare sconvolgimenti cosmici ed eventi terrificanti. Ciò che oggi risalta è soprattutto l'atmosfera generale di angoscia mortale che avvolge l'umanità intera per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra (Lc 21,25-26). Ma tale angoscia è propria di tutta l'umanità, oppure c'è chi vi sfugge? Ce lo spiega il Signore stesso. Nel crescendo progressivo di tali cose, i credenti sono invitati ad essere ancora più fermi nella propria fede, con gli occhi fissi verso di Lui, perché - ci dice - la vostra liberazione è vicina (Lc 21,28). Come dire: davanti all'avveramento delle sue predizioni, c'è una attesa di chi non si cura delle sue parole (o addirittura le sbeffeggia) che sarà piena di paura, mentre l'attesa di chi lo sta seguendo con cuore sincero sarà piena di fiducia. Chi infatti attende l'incontro definitivo con il Signore vedrà il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria (Lc 21,27), e se ne rallegrerà. Ma chi, incredulo, non l'attende? Cosa succederà a chi pensa che non ci sarà alcun incontro? Rischia di non vedere un bel niente, cioè non si accorgerà di niente, continuerà a vivere come se l'orizzonte della vita sia tutto al di qua, non penetrerà con il suo sguardo dentro le cose che stanno accadendo. Alla fine rischia di dire: "non c'è niente, Dio non esiste, ecc.ecc.". In realtà, riceverà quello che vorrà.


La seconda parte del vangelo è una raccomandazione per coloro che lo attendono. Con il Signore non si campa di rendita. Il credente può perdere la capacità di attendere con fede. Tre verbi riassumono la raccomandazione per non perderla: state attenti, vegliate, pregate. Cominciamo con il primo. State attenti a voi stessi (Lc 21,34a). Ci è richiesta un'attenzione che solo apparentemente contraddice il comandamento dell'amore, il quale richiede grande attenzione agli altri. Il senso infatti è precisato dalle parole successive: che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita (Lc 21,34b). Quando la fede è viva, così come porta ad aumentare l'attenzione verso gli altri, così porta un aumento dell'attenzione a se stessi. Ci si accorge che il peccato, le fragilità, i difetti che si incontrano nei fratelli sono gli stessi che si incontrano in sé. Quando davvero si cerca di amare gli altri non si può non amare se stessi. E si diventa più "svegli" verso ciò che può compromettere il proprio stare in piedi.


Perché oggi si percepisce una riduzione di umanità a tutti i livelli della vita relazionale? Perché abbiamo messo su un mondo che ci intrattiene con continue distrazioni. Un mondo che ammaliandoci con dissipazioni camuffate da "mentalità positiva", ne vuole addolcire le conseguenze. Un mondo che stordisce e sottrae lucidità alla coscienza con le sue esigenze di successo, velocità ed efficienza, aumentando sempre più il tasso di preoccupazione. Un mondo insomma che ti fa perdere l'orientamento fondamentale della vita: si diventa ubriachi non solo per eccesso di alcool! Ci si ritrova sempre più abbarbicati a polemizzare e a scaricare colpe sugli altri, a non prendersi responsabilità; ci si ritrova sempre più a lamentarsi, a fermarsi sempre più su quello che non va (generalmente nella vita degli altri) oppure ci si vuol sentir dire solo quello che si desidera udire, non ciò che corrisponde alla propria realtà, e guai a chi dice il contrario! E' solo un pessimista! In altre parole, si vuole un cristianesimo edulcorato. Ma tutto questo, alla lunga, appesantisce l'anima; difatti, chi vive così, è normalmente percepito come una persona "pesante".


Gesù dice che, se ci si lascia inghiottire da un tal modo di vivere, si avvertirà il tempo che viviamo come un laccio che ci piomba addosso all'improvviso (Lc 21,35). E ci offre subito la terapia, non solo per la cura immediata, ma anche per il mantenimento di un modo di vivere permeato dalla fede: vegliate in ogni momento (Lc 21,36a). Cioè, diventate gente vigile e capace di discernere ciò che avviene, il che non significa ridurre le ore di sonno, tutt'altro. Significa diventare come le civette che sanno intravedere ciò che si muove nella notte. Significa diventare come le sentinelle che nell'oscurità imparano a intravedere i segnali dell'alba. Come poter custodire/aumentare tale capacità? Pregando (Lc 21,36a). La preghiera è rimanere in contatto con la luce che proviene da Dio, luce che conduce a vivere e gustare quella sobrietà che si genera imparando a conoscerlo. Chi sta conoscendo il Signore cerca la sobrietà, e non solo. Riceve anche la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell'uomo (Lc 21,36b). Ecco la risposta alla domanda iniziale. Il cristiano è un uomo fragile come tutti; tuttavia, rimarrà misteriosamente in piedi di fronte a ogni avversità, compresa la sua morte, perché non getta le sue radici su ciò che passa, ma su ciò che rimane in eterno: i cieli e la terra passeranno, le mie parole non passeranno mai (Lc 21,33).