Omelia (08-12-2018)
don Maurizio Prandi
Il primo nome di chiesa è casa!

Notavo, leggendo un testo di J. Vanier, come le tre grandi tappe in cui Luca sintetizza la vita di Gesù, siano contenute nel brano di vangelo che abbiamo ascoltato:

- a Nazareth la vita nascosta, i trent'anni passati in famiglia, il pezzo più lungo della sua vita, durante la quale ben pochi si sono accorti che Gesù era il figlio di Dio: i pastori, l'anziano Simeone. Nazareth vuol dire famiglia, quotidianità, normalità; Gesù vive come gli altri, senza fare nulla di grande, nulla di straordinario. Vive l'unità, la tenerezza, le fatiche della famiglia.

- Poi c'è quel: sarà grande e chiamato figlio dell'Altissimo. Leggo in queste parole dell'angelo il richiamo alla tappa che potremmo chiamare profetica della vita di Gesù: opera i grandi miracoli, guarisce i malati, attira le folle, le affascina raccontando Dio, sceglie i discepoli, sogna la chiesa.

- E poi in quel particolare che altre volte abbiamo definito duro e difficile da accettare: e l'angelo si allontanò da lei leggo la terza tappa, quella della sofferenza, della solitudine, del rifiuto, la lotta con gli uomini religiosi, le incomprensioni con i discepoli che trovano difficili, dure le sue parole. E' la tappa di una debolezza e fragilità non nascoste, non dico esibite ma certamente esposte. La tappa in cui le persone più vicine lo rinnegano (Pietro) e lo tradiscono, lo consegnano (Giuda).


Pensando a quello che possiamo vivere come comunità, come fraternità, pensando che la tappa dei miracoli e della profezia, del cambiamento della chiesa e del mondo forse non fanno al caso nostro (forse perché non hanno fatto nemmeno al caso di Maria), forse la prima e la terza tappa sono quelle che possiamo desiderare di vivere come chiesa: la tenerezza e la fatica della famiglia, una famiglia in cammino, che come dicevo domenica scorsa unisce in quel viaggio territori (regno del Nord e del Sud) divisi nella storia del popolo d'Israele. Dicendo il suo si all'angelo, Maria offre un grembo a Dio, il calore di un grembo. Non soffoca Dio in un luogo, ma gli offre il calore di un corpo e Dio si sente in cammino per tutte le strade che Maria percorrerà, Dio entrerà in tutte le case in cui ella lo porterà. Che bello: crediamo nel Dio vivo nella carne degli uomini e delle donne di ogni tempo. La fede è affidamento e cammino, la religione è immobilità. La fede è stupore e domanda, la religione è paura e chiusura, ansia di sicurezza. Mi è piaciuto molto rileggere un commento di don Angelo Casati che parlando del Dio del grembo, del Dio della tenda ricordava il lamento di Dio quando gli hanno costruito una casa, un tempio immobile, e allora gli israeliti, forse colti da rimorso, riponendo l'arca di Dio nel santo dei santi, lasciavano fuoriuscire dalla cella le sbarre dell'arca, per ricordare che Dio non è nella fissità, nell'immobilità, ma fuoriesce, sconfina e si concede a chi si fa viaggio, si fa tenda. Chi è il credente (domenica scorsa sottolineavo come nel vangelo di Luca Gesù entra in scena come un uomo in preghiera, come un credente) allora? Il credente è qualcuno che come Maria è abitato dalla Parola e si mette in cammino, non per ri-chiudere Dio nel tempio, ma per portarlo nella vita, nella quotidianità, nelle strade e nelle case. La risposta di Maria alla fuga dell'angelo non sarà la paura (lo vedremo nell'ultima domenica di Avvento) ma la decisione di uscire, di servire, di portare Gesù a Elisabetta, colei che (come ci diceva Rosanna Virgili in quel bellissimo incontro sull'ascolto al femminile della Parola) le ha fatto capire di non essere sola. È proprio vero quello che ci veniva detto quella sera da Rosanna: il primo nome di chiesa è casa, e come risuona diversamente l'annuncio nel cuore di uomo da una parte, che diventa muto e fermo e nel cuore di una donna dall'altra, che immediatamente si mette in cammino e inonderà Elisabetta con un fiume di Parola di Dio.


E poi la terza tappa, quella della fragilità e debolezza di Geù, quella che ci dice che come chiesa siamo chiamati a condividere la nostra vita con il debole e il povero, con colui che rimarrà per sempre fragile e forse non farà molti progressi ma viviamo con lui: non cambieremo il mondo ma forse chissà, cambieremo una vita. Non c'è molta gloria è vero, ma c'è la possibilità di essere simili a quella vita nascosta semplice, umile, quotidiana. C'è la possibilità di vivere quelle parole di Gesù ogni volta che avete fatto queste cose ad uno dei miei fratelli più piccoli l'avete fatto a me; chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me; se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli; credo che in questa solennità Maria ci aiuta proprio in questo, ci aiuta ad entrare nel mistero dell'accoglienza del piccolo, del bisognoso, del povero, nel nome di Gesù.