Omelia (16-12-2018)
Omelie.org - autori vari


COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Lucia Piemontese

Il Vangelo ci propone ancora la figura di Giovanni Battista. Nella scorsa domenica l'evangelista lo ha presentato secondo la profezia di Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore....Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Oggi, nella prima parte del racconto (vv. 10-14), vediamo Giovanni incontrare varie tipologie di persone che accorrevano a lui, dalle generiche folle (che includevano i farisei e i sadducei citati da Mt 3,7) a categorie più particolari come quelle dei pubblicani e dei soldati. Questa varietà che andava a farsi battezzare rappresenta, nella prospettiva di Luca, l'umanità intera, con il suo bisogno di purificazione e di cambiamento. Pubblicani e soldati erano particolarmente invisi al popolo sia per il tipo di mestiere sia perché lavoravano al servizio dell'occupazione romana, ma nell'opera lucana sono invece presenti come persone capaci di accogliere la predicazione di Gesù e di ricevere la sua misericordia (cf. la parabola del fariseo e del pubblicano in Lc 18 e all'inizio di Lc 15; cf. le figure dei centurioni in Lc 7 e 23 e il centurione Cornelio in At 10).
Tutti pongono la stessa domanda: che cosa dobbiamo fare? Giovanni ai suoi interlocutori da indicazioni diverse, ma legate da un comune denominatore che è la giustizia, declinata a seconda delle condizioni di ciascuno. L'indicazione generale è quella del condividere i beni in una logica di fraternità di modo che tutti abbiano il necessario. Per quanto riguarda le categorie disprezzate, che secondo la mentalità religiosa corrente non potevano sperare nella salvezza di Dio, Giovanni non rivolge condanne e non invita a cambiare lavoro ma a viverlo in modo giusto, non cedendo a comportamenti di corruzione e di violenza, facili in quei mestieri.
Nella seconda parte del Vangelo (vv. 15-18), l'evangelista ci racconta che le speranze e le attese del popolo si appuntano su Giovanni il quale, con le sue caratteristiche di forza e autorevolezza, potrebbe essere il Messia. Ma Giovanni non può neanche per un momento appropriarsi di un'importanza che non gli appartiene, non vuole rosicchiare neanche un briciolo di gloria. Il contesto gliene fornisce l'occasione ma lui non la vuole sfruttare. E' una persona limpida, ha la consapevolezza di essere un precursore, la voce che proclama l'avvento di un Altro. Egli annuncia Gesù, non in modo esplicito, ma attraverso una serie di immagini, tutte di profondo significato: Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Giovanni evidenzia la differenza fra il suo battesimo e quello di Gesù. Il suo è fatto solo con l'acqua, è un segno che esprime un bisogno di penitenza e conversione ma non ha una reale efficacia. Quello del Signore sarà in Spirito Santo e fuoco ossia nel fuoco dello Spirito Santo (cf. la pentecoste lucana in At 2), in quel fuoco d'amore che è lo Spirito Santo. Questa immersione nel fuoco dello Spirito Santo sarà efficace, avrà la potenza di operare realmente il cambiamento nella persona. Il fuoco non è usato come immagine di punizione ma di purificazione, sullo sfondo c'è l'idea del fonditore che libera dalle scorie il metallo prezioso per farlo rifulgere nella sua purezza e bellezza.
Nel chiarire la differenza fra il battesimo di acqua e quello di Spirito Santo, Giovanni fa due annunci: l'annuncio del "più forte" e l'annuncio velato dello "sposo": ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali.
Con il primo Giovanni sottolinea che il Signore ha la vera forza, il vero potere di cambiare e salvare; Gesù Cristo è il Santo Forte, come recita una formula trinitaria della tradizione bizantina. Il secondo annuncio è nascosto nell'immagine dello sciogliere i sandali; per capirlo bisogna risalire al capitolo 4 del libro di Rut. Lì troviamo descritto un antico uso secondo il quale il parente più prossimo doveva sposare la donna rimasta vedova senza figli per dare una discendenza al marito morto. Se colui che aveva il diritto non voleva esercitarlo, cedeva il diritto al successivo legittimario, dandogli il suo sandalo come atto pubblico. Così accadde per Booz che sposò Rut, antenata di Gesù (cf. Mt 1,5). Anche nel libro del Deuteronomio (25,9) si trova una questione di diritto matrimoniale che ha come segno-oggetto un sandalo.
Con l'espressione sciogliere i sandali Giovanni vuol dire alle folle, che lo credono il Messia, che il pieno e legittimo diritto appartiene a Gesù e che lui non può togliergli il sandalo. E poiché lo sfondo è nuziale, qui si adombra che Gesù è lo sposo del popolo d'Israele, prefigurato dai profeti. In At 13,25 ad Antiochia di Pisidia, Paolo parla del Battista come colui che non è degno di sciogliere i sandali. Questa è dunque una immagine che esprime l'identità di Giovanni (non tanto la sua umiltà), una identità che rimanda al vero e legittimo Sposo. Nel IV Vangelo, l'evangelista svilupperà questo aspetto e Giovanni sarà l'amico dello Sposo.
Una ultima immagine per descrivere l'azione del più Forte che viene: Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile. E' un quadro tratto dal mondo contadino del tempo. Con uno strumento apposito (le traduzioni precedenti lo chiamavano ventilabro) si liberava il grano dalle sue scorie; il primo si conservava e le seconde si bruciavano. E' un modo di separare ciò che è buono da ciò che non lo è e si presta bene come immagine del giudizio finale. La separazione di buoni e cattivi è, infatti, un tema escatologico-apocalittico (cf. Mt 13,49; 25,32) e tale è anche la figura del fuoco inestinguibile (il fuoco eterno in Mt 25,41; lo stagno di fuoco in Ap 20,14) nel quale il male deve essere bruciato. Il tono del Battista era forte, ma rientrava nei canoni della predicazione apocalittica.
* * *
Gioia e conversione si intrecciano nella Parola di questa domenica. D'altronde si tratta di due esperienze che vanno insieme. La gioia, infatti, è frutto della conversione, ma il desiderio della gioia è anche spinta alla conversione. Alla sorgente di entrambe c'è il Signore che viene a visitarci e a salvarci.
CHE COSA DOBBIAMO FARE?
La domanda che le varie persone rivolgono al Battista è una domanda-risposta perché risponde alla predicazione di Giovanni, non la lascia cadere nel vuoto. Ed è una domanda importante, come sottolinea le triplice ripetizione in questo testo; la troviamo poi ulteriormente nel vangelo lucano (cf. 10,25 e 18,18) e negli Atti degli Apostoli (cf. 2,37; 16,30; 22,10). Questa domanda dobbiamo farla nostra, se vogliamo preparare la via del Signore e vedere la sua salvezza.E' la domanda di chi si sente interpellato da Dio e avverte il bisogno della conversione, della revisione della vita, del cambiamento del cuore e dell'agire. Giovanni Battista indica una via semplice, non straordinaria. Non chiede di imitarlo nei digiuni o nell'eremitaggio né pretende grandi sforzi sacrificali ma propone la via della santità nel quotidiano, della vita vissuta con rettitudine e spirito di solidarietà.
Il cosa dobbiamo fare è strettamente legato all'amore per il Signore, nasce dal desiderio di togliere gli ostacoli e di essere un po' più pronti ad incontrarlo. Quindi le cose da fare non stanno nella logica dell'efficienza quantitativa, ma in quella dell'amore. Il nostro fare potrebbe essere un fare altro oppure un non fare più, un intensificare o un ridurre. Al cambiamento ci può muovere solo il desiderio dell'amicizia con Dio e la felicità che ne deriva. Ed è bello ascoltare dal profeta nella I lettura che anche il Signore, vero artefice delle nostre conversioni, gioisce di noi: gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia.
Lieti nel Signore
Questa domenica è chiamata gaudete certamente perché il Natale si sta avvicinando; ma in fondo tutto il tempo d'Avvento è pervaso di gioia e di speranza.
Siamo invitati a rallegrarci. Un primo motivo di gioia è che il Signore è vicino (II lettura), si fa presente in mezzo al suo popolo (I lettura). La gioia è legata alla certezza della Sua presenza, che ha la forza di confortarci qualunque sia la situazione più o meno difficile nella quale ci troviamo. Il Signore ci sta vicino e questo ci aiuta a superare i momenti di sfiducia, di tristezza, di abbattimento, di amarezza che nella vita certo non mancano. La Parola di Dio ci sprona a ritrovare la gioia, a riconoscere il vero motivo di gioia: Dio è in mezzo a noi e ci dona il suo amore. Egli ci comunica la sua gioia (cf. Gv15,11) e questa non è effimera e inconsistente ma, anzi, è così profonda da poter coesistere con il dolore e le prove più dure. Un altro motivo di gioia è l'opera del Signore che viene. Dice Sofonia: Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico... è un Salvatore potente. Ecco che possiamo gioire per il più Forte che viene perché ci libera dal male. Anche il Salmo ci fa cantare che il Signore è la nostra salvezza ed ha fatto cose eccelse. L'apostolo, nella II lettura, non si limita ad invitarci alla gioia, ma ci spinge alla testimonianza: la vostra amabilità sia nota a tutti. La gioia che proviene dall'Alto non può restare rinchiusa in noi, ma chiede di essere comunicata a tutti perché testimonia la vicinanza del Signore ed è un mezzo efficace di evangelizzazione.