Omelia (23-12-2018)
padre Gian Franco Scarpitta
Questo piccolo grande amore per noi

Il Messia era il grande atteso, ma nessuno avrebbe mai immaginato in Israele che potesse sorgere nella città di Nazareth: nulla di buono poteva sorgere da quella città e dall'intera Galilea, tantomeno un profeta latore di divini messaggi (Gv 1, 46; 7, 52 - 53). Il Cristo di Dio era concepito come un soggetto capace di stravolgimento e di grandi affermazioni, di grandezza e di onnipotenza diretta. Assurdo era immaginarlo umile e sottomesso e che poi potesse nascere da una donna umilissima e sottoporsi alle cure di una famiglia povera e dimessa, era ancora più inaudito e inverosimile.
Ma già il profeta Michea esplicita che il vero Messia stravolge i nostri piano in un altro senso: non tiene conto delle pretese umane di autoaffermazione o dei desideri meschini di un Dio capace di imporre la sua volontà e delinea invece un Salvatore e Messia di condizioni estremamente umili, al punto che non nasce neppure a Nazareth, ma addirittura in uno sperduto villaggio della Giudea, forse neppure considerato (come già la stessa Nazareth) dalla carta geografica o dai riferimenti toponomastici. Una piccola borgata diventa la capitale della storia della salvezza e un aspro e solitario alloggio di fortuna improvvisato diventa una località rinomata e ambita fino ai nostri giorni da tutti coloro che hanno accettato di essere salvati e redenti. Dio non solamente predilige la piccolezza ma fa delle cose piccole realtà grandiose, esaltando tutto ciò che comunemente viene deprezzato dalla nostra mentalità superba. Così Betlemme, prima villaggio insignificante e abbandonato, diventa meta di pellegrinaggio già con la presenza di villani e pastori; Giuseppe e Maria, fino a poco tempo prima ignorati e vilipesi dalla reticenza degli abitanti di questo luogo, adesso diventano al centro dell'attenzione perché lo stesso Signore Bambino li rende oggetto di ammirevole attenzione. Il nostro Dio è grande non già perché imperioso e altisonante, ma perché capace di farsi piccolo senza riserve e perché atto ad esaltare la grandezza delle cose piccole e in apparenza insignificanti. "Per fare un tavolo ci vuole un fiore", diceva una vecchia canzone; proprio dalle cose apparentemente semplici e banali accanto alle quali si passa accanto alla velocità di 70 km orari emergono spesso le realtà grandiose ed edificanti e se si valorizzassero adeguatamente tutte quelle persone che passano inosservate nel nascondimento il mondo intero godrebbe di tantissime risorse apprezzabili. Occorre rilevare che, purtroppo, complice il dispendio, lo sfarzo e la subdola propaganda, le festività natalizie saranno per molti occasione di ostentare vanità, lussuria, ingordigia e il Natale pagano e consumistico non farà che accentuare il lato peggiore di tante persone. Proprio la festa che dovrebbe esaltare il valore dell'umiltà e della semplicità di vita diventa ogni anno occasione di spropositate voluttà, di spocchia e presunzione; eppure non potremo mai considerarci appagati e soddisfatti fin quando non saremo capaci di valorizzare il dono dell'umiltà, della mansuetudine e pazienza di cui il Bambino divino vuole essere dispensatore. Dal canto suo, nascendo dal grembo di una semplice fanciulla e restando sottomesso alle ristrettezze di una vita familiare priva di grosse risorse, il Figlio di Dio che si fa uomo ci dimostra che le cose più esaltanti sono proprio quelle più piccole e la vera grandezza risiede proprio nel farsi umili e sottomessi. C'è molta soddisfazione nel donarsi e nel servire, molto più che nel guadagnare a tutti i costi.
Di questo ci rende testimonianza anche l'incontro di gioia fra Maria ed Elisabetta, ambedue destinatarie di un beneficio straordinario nella persona dei due Bambini che sobbalzano nel loro grembo; e tuttavia anche queste due donne hanno sempre coltivato la fede nel nascondimento e nella mansuetudine, senza mai ostentare grosse pretese o mostrare virtù fittizie. Esulta nel grembo il nascituro che prenderà il nome di Giovanni = Dio ha misericordia perché si vede avvinto dalla misericordia di Dio Padre che alberga in Maria e che già inizia ad esplicitarsi. Elisabetta non esita a chiamare Maria "Madre del Signore", delineando con tale appellativo ancora una volta la grande predilezione di Dio per i semplici; Maria dal canto suo magnifica il Signore che ha fatto grandi cose nella sua umile serva. La prima di tutte queste cose è quella che ammireremo fra pochissimo, cioè l'incarnazione del suo Verbo nel grembo della stessa umile donna di Nazareth che in forza di questo stesso evento potrà vantare di essere stata chiamata Beata da tutte le nazioni.