Omelia (25-12-2018)
diac. Vito Calella
Per trono una mangiatoia, dei pastori per il suo regno

Torniamo a custodire in noi le parole di gioia associate alla pace, che ci vengono offerte da Dio per mezzo del profeta Isaia. Questa Parola di Dio ci introduce alla «grande gioia» dell'annuncio della nascita di Gesù, fatto dall'angelo ai pastori, cioè agli esclusi, ai poveri, ai lontani dalla comunità religiosa di quel tempo. Intuiamo qualcosa di bello che sta avvenendo. Anche se non siamo più abituati a paragonare la nostra gioia a quella dei contadini che mietevano il grano a mano o ai soldati antichi che si spartivano il bottino della vittoria, ci fa bene riascoltare quel canto di gioia proclamato dal profeta Isaia, rivolto a Dio: «Hai moltiplicato la gioia! Hai aumentato la letizia! Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si divide il bottino» (Is 9,2). È la super gioia della festa del raccolto dopo tanta fatica nel lavoro manuale dei campi e la super gioia della vittoria dopo la dura lotta in guerra. In ambito rurale, la gioia del raccolto era associata ad un tempo meritato di riposo e di festa, segni di un tempo di pace. Anche la fine di una guerra portava la gioia di un tempo di pace.
La gioia è profondamente associata alla pace.
Bellissimi i tre segni della pace proclamati dal profeta Isaia: il primo segno è costituito dal bastone e dal giogo, simboli di schiavitù e oppressione, che sono spezzati, perché è cessata la sottomissione umiliante del più debole sotto il più forte;
il secondo segno è dato dalle calzature da soldato e dai mantelli macchiati di sangue, che diventano materia prima di un grande falò, il fuoco della pace, ripristinata dopo un tempo buio di guerra;
il terzo segno è dato dall'annuncio della nascita di un bambino della dinastia regale della casa di Davide: «Un bambino è nato per noi. Ci è stato dato un figlio» (Is 9, 5a). Isaia gioiva per la nascita di Ezechia, venuto al mondo in un tempo di tenebre per tutto il popolo a causa della prepotenza degli Assiri che promuovevano guerre per assoggettare sotto il loro dominio tutti i popoli circostanti. Le parole a seguire riecheggiano l'intronizzazione del re bambino appena esaltato nell'atto della sua nascita, perché sembra che questo bambino sia rivestito del manto regale: «Sulle sue spalle il segno della sovranità» (Is 9, b). Poi viene il rito dell'imposizione di quattro titoli che esaltano la sua regalità: «Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Is 9, 5c). L'antico protocollo di intronizzazione di un re egiziano prevedeva l'acclamazione di cinque nomi. Il quinto nome attribuito a questo re bambino Isaia lo aveva già annunciato: «La vergine concepirà e partorirà un figlio che chiammerà Emmanuele» (Is 7,14b) «il Dio con noi» (Mt 1,23).
Ma cosa hanno da dire a noi queste parole antiche del profeta, che vogliono essere Parola di Dio per noi oggi?
Dio c'è in questa nostra storia complicata, che si ripete con il susseguirsi di guerre, di superpotenze di turno, di strategie di potere per controllare e sfruttare popoli interi. Al tempo di Isaia dominavano gli Assiri, al tempo di Gesù erano i Romani. I censimenti promossi dall'imperatore erano finalizzati al controllo della popolazione e al loro sfruttamento mediante le tasse da imporre.
Gesù nasce a Betlemme ed è intronizzato come un re bambino, e il suo trono è una «mangiatoia», citata ben tre volte dall'evangelista. Il «Salvatore, che è Cristo Signore» annunciato dall'angelo ai pastori, motivo di «grande gioia per tutto il popolo», è lo stesso che Paolo, come angelo, annuncia a Tito, suo collaboratore fedele: è il «nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo», il quale ha già «dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone» (Tt 2,14).
Il trono regale della mangiatoia di Betlemme è preannuncio del trono regale della croce, ed è per noi cristiani oggi l'altare sul quale Gesù Cristo Signore si dona per noi con il suo corpo e con il suo sangue nel Sacramento dell'Eucarestia.
Le fasce che avvolsero il fanciullo diventano allora preannuncio del sudario che avvolse quello stesso corpo diventato adulto, segnato dai segni dei chiodi e delle percosse, ma destinato ad essere trasfigurato dalla sua risurrezione.
I presepi tingono l'atmosfera di tanta poesia. Ma cosa vuol dire che i primi destinatari dell'annuncio della nascita del bambino Gesù e i suoi primi adoratori furono dei pastori? Perché Dio Padre mandò il suo angelo a dare l'annuncio a pastori considerati gente impura, poco affidabili nella loro esperienza di fede, esclusi dal tempio e dalla sinagoga?
Immedesimarsi in loro in questa notte di Natale è una scomoda responsabilità. Il regno di Dio, di cui questo bambino, intronizzato in una mangiatoia, è re, appartiene ai poveri, agli ultimi, agli esclusi, ai lontani, a coloro che fanno fatica ad essere accettati nella cerchia delle nostre belle e animate comunità cristiane.
Se il cuore di Dio non esclude nessuno, ma vuole arrivare fino al più piccolo di questa terra, ci siamo dentro tutti nel Padre, per mezzo del Figlio, per il dono dello Spirito Santo, come figli amati. È questa la comunione / pace fonte di grande gioia!
È lo Spirito Santo, forza vitale di questo re bambino, intronizzato in una mangiatoia, simbolo del dono gratuito di sé, a dare la forza a ciascuno di noi, credente, per vivere l'esperienza di sentirsi degni di avere accanto a noi, accolto con lo stesso cuore dilatato del Padre, qualcuno segnato nella sua vita dalla povertà più grande della nostra e dall'esclusione sociale e religiosa.