Omelia (25-12-2018)
padre Gian Franco Scarpitta
Luce del mondo appena incarnato

"Sono nato di notte, perché tu creda che io posso illuminare qualsiasi realtà." E' un verso della poesia di Albert Nolen che, inserito fra tutti gli altri non meno eloquenti, esprime con forza il fascino di questa notte che ci raccoglie tutti in chiesa come non mai dopo averci collocati a tavola nella comunione e nell'armonia. Se il profeta Isaia aveva preannunciato che "il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce", in una notte del 6 a.C (data storicamente accreditata della nascita di Gesù) avviene che questa luce rifulge in un Bambino, che secondo la promessa dischiude gli occhi alla luce terrena per apportare a tutti la vera luce universale.
Sperduti e disorientati nel percorrere sentieri squallidi e tenebrosi, adesso gli uomini sono finalmente illuminati intorno ai passi da percorrere e possono fare chiarezza su se stessi, sulla loro vita e sulla realtà presente e futura che li circonda, trovando soluzioni alle domande ricorrenti "Chi sono? Da dove vengo? Dove sono diretto?" Intorno a noi stessi e alla nostra realtà, noi abbiamo sempre cercato orientamento, direzione, compagnie qualificate, abbiamo sempre proceduto come a tentoni, cercando soluzione per ogni dove ai nostri problemi esistenziali, non di rado trovando soluzioni subdole e ingannevoli. Dov'è la verità sulla nostra vita e sul mondo? Quali vie percorrere per raggiungerla e per persistere in essa? Per quanto siano vari i tentativi di risposta, solamente la rivelazione può appagare questi nostri fondamentali desideri, perché ci insegna che la verità, seppure va cercata, è sempre un dono. Essa è avvenuta in un semplicissimo evento che si è verificato in una storica data in tempi notturni: la divinità ha assunto l'umanità nella seconda Persona della Trinità che si è fatta uomo. Non che Dio si sia "trasformato" in uomo perdendo le sue prerogative di divinità, ma natura umana e natura divina si sono armonicamente congiunte in perfetta simbiosi, in modo tale che il Figlio di Dio sia anche Figlio dell'Uomo e che Cristo sia vero Dio e vero Uomo. Dio si è incarnato per venire ad abitare in mezzo a noi e per assumere tutte le condizioni di sofferenza e di angoscia che ci riguardano. Sebbene Perfetto e invitto nella sua gloria e potenza, ha voluto assumere e far proprie tutte le imperfezioni per rendersi partecipe delle nostre precarietà e delle nostre miserie.
E questo si è verificato non attraverso procedimenti eclatanti o di grande rilievo, ma nell'unicità irripetibile di un avvenimento senza precedenti soprattutto per la sua semplicità fascinosa: un Bambino avvolto in fasce in una mangiatoia. Il Verbo di Dio si è cioè incarnato non nella maestà invitta di un sovrano o di un personaggio potente o altolocato; non nell'invulnerabilità di un possente eroe indomito e invincibile o di un superuomo; non nella raffinatezza dotta di un sapiente maturo ed evoluto, ma nella piccolezza e debolezza di un Infante esile e indifeso, accudito da due genitori. Certamente Dio poteva farsi uomo prorompendo in figure preminenti o in fatti di natura sconvolgente; avrebbe potuto cioè incarnarsi manifestandosi nelle fattezze di un Grande della terra o di un uomo facoltoso e altolocato. Ma così non avrebbe potuto condividere con noi la radicalità dell'umanità piena, non avrebbe potuto fare esperienza dell'infanzia, della pubertà, della crescita e della formazione sottomessa ai genitori e della predisposizione al lavoro e alla vita, E soprattutto non avrebbe potuto fare esperienza delle angosce e dei problemi della vita umana dalla culla alla bara.
Che Dio si sia fatto uomo invece vuol dire molto più di un'incarnazione del Trascendente nell'immanenza: sta a significare che egli ha voluto assumere la nostra umanità senza omettere nulla di ciò che essa comporta, senza omettere alcuna delle sue tappe e facendo esperienza diretta di ogni condizione, fatta eccezione per il peccato.
Per questo motivo il Fanciullo illumina ogni realtà: egli è il Dio -Uomo che si rende a noi solidale su tutto per condurci verso la vita e la verità, per orientarci secondo criteri appropriati e per soddisfare tutte le nostre richieste fondamentali di vita.
Ancora più esaltante è che il divino Fanciullo già nella sua nascita terrena prediliga ciò che secondo le nostre convinzioni resta ignobile e deprezzabile, come avviene in questa notte in cui l'angelo fa visita ai pastori.
Ad osservare con attenzione il brano evangelico di Luca, i pastori, convenuti alla mangiatoia dopo l'annuncio, non trovano il bambino in fasce, come a loro era stato detto, ma il pargoletto trastullato e accudito dai due genitori, Giuseppe e Maria. Forse ad indicare che il Messia Bambino che risponde alla promessa antica ha scelto di essere asservito e sottomesso a due genitori umani ai quali si affida totalmente e senza riserve e appunto per questo il Bambino è per loro la "luce" che dirada le tenebre: nell'umiltà di questo esile fanciullo, nella sua abnegazione di sottomissione e nella sua predilezione di cose semplici e precarie risiede quella verità che loro erano andati cercando invano per ogni dove. Dio Bambino è per loro lume e orientamento ed essi davanti a lui riscoprono se stessi non più come persone ripudiate e osteggiate dalla società, ma come uomini destinatari di particolare amore e predilezione da parte di Dio.
Loro, i pastori, complice la loro condizione di primitivi illetterati, non erano in grado di conoscere e di mettere in pratica la Legge di Mosè, non potevano essere considerati fra i più perfetti degli uomini e pagavano il prezzo di essere collocati fra quelle categorie sociali insulse e deprezzabili. Certamente credevano e speravano nell'arrivo di un Messia Salvatore, ma probabilmente si aspettavano che Questi dovesse assumere ben altri connotati e soprattutto che avrebbe preteso da loro impegni gravosi e defatiganti per raggiungere la salvezza. Si sarebbero aspettati che a loro, peccatori ignoranti in materia di Leggi divina, il Messia avrebbe imposto severe disposizioni per l'ottenimento della salvezza. E invece riscontrano innanzitutto che il Prodigio dell'incarnazione è rivolto proprio a loro, primi fra tutti gli uomini, che essi ne sono i destinatari privilegiati e che tale prodigio si realizza nell'assoluta immediatezza di una comunione intima e dialogica della quale restano affascinati. E' sufficiente che loro si prostrino in adorazione e che assistano fraternamente Maria e Giuseppe nell'accudire questo Fanciullo per comprendere che la salvezza è alla loro portata. Basta credere, sperare e gioire per ottenere tutti i benefici della verità che ci viene donata senza riserve.
Nella notte vengono rischiarati dalla luce, perché comprendono la verità che li renderà liberi, quella di un Salvatore che si concede a tutti indistintamente, non facendo mistero di preferire soprattutto gli esclusi e i peccatori.
Il Verbo Incarnato è la nostra "luce" perché rischiara i sentieri difficili e impervi del nostro itinerario di vita man mano che procediamo subissati da condizioni sociali che vedono i poveri e i semplici soccombere a continue ingiustizie, vessazioni, persecuzioni, non ultime le varie "manovre finanziare" atte a colpire soprattutto il popolo debole e indigente; come pure la posizione di sicurezza e di benessere di pochi a dispetto della continua crescita della disoccupazione e della miseria e del gravame di disagio in cui tante persone sono costrette a vivere.
Ne siamo certi non speculando sui testi, ma solamente contemplando il presepe.

BUON NATALE A TUTTI