Omelia (25-12-2018)
padre Gian Franco Scarpitta
Quel che racchiude in sè il Bambino divino

Più di due mesi or sono ero ricoverato in ospedale per una frattura scomposta all'omero del braccio dopo una bruttissima caduta, per la quale sto portando ancora il fissatore. Ero a letto dolorante, anche per gli ematomi e le ferite riportate in altre parti del corpo per la violenza dell'urto, tuttavia, seppure non senza difficoltà e fatica, riuscivo ogni tanto ad alzarmi e a passeggiare per il reparto. Quali erano le mie sensazioni nella preghiera? Quelle che provo tuttora. Cioè dover dire "Grazie Signore, perché comunque posso camminare." Paragonandomi ad altri ricoverati costretti ad essere accuditi e condotti in carrozzina, notavo infatti che la mia situazione, certamente abbastanza seria e da non prendere sottogamba, non era paragonabile a quella di altre persone che non avevano la possibilità di adoperare tutti gli arti. Ancora adesso, tutte le volte che, sfidando i ferri del fissatore e i dolori lancinanti al braccio offeso, mi trovo a fare abluzioni, vestirmi e svestirmi con particolare pazienza e attenzione, sono solito rivolgere almeno un breve pensiero: "Ti ringrazio o Dio, perché a differenza di altri io sono in grado di fare da me". L'ortopedico mi esorta a muovere e utilizzare il braccio operato il più possibile e almeno di sfuggita mi viene da pensare a tutti gli infermi costretti a mantenere immobilizzato non solo il braccio, ma tutti gli arti. Posso insomma autogestirmi, muovermi, celebrare Messa e le varie funzioni e questo mi ha dato motivo di rendere grazie al Signore, che mi ha dato occasione di riflettere, valorizzandolo adeguatamente, sul dono prezioso della salute che oggi abbiamo e che potrebbe esserci tolta. Sulle malattie a volte presunte di cui ci lamentiamo senza considerare quanti sopportano dolori ancora più atroci e per estensione forse poche volte consideriamo la ricchezza delle innumerevoli benedizioni di cui siamo stati resi oggetto a dispetto di tante persone che mancano davvero del necessario. "Ero triste perché non avevo scarpe, finché non incontrai un uomo che non aveva piedi" scrive Harold Abbot. Quando soffriamo occorre sempre pensare che c'è sempre chi soffre più di noi per comprendere che perfino il dolore e la sofferenza costituiscono un motivo di lode a Dio.
E questa è certamente una delle ragioni per cui Dio ha deciso di farsi uomo venendo a vivere in mezzo a noi e rendendosi simile a noi in tutto, fatta eccezione del peccato. Lui che è onnipotente ha deciso di sottoporsi a torture e umiliazioni; lui Re dell'universo ha voluto sottomettersi a leggi e prescrizioni umane; lui che è all'origine del cosmo e della vita vuole restare asservito a umili genitori terreni. Lui al quale appartiene ogni cosa ha preferito vivere di stenti perfino la sua infanzia da Fanciullo esile e indifeso. Lui, al quale appartengono il tempo e la storia, ha voluto assumere una determinata situazione storica, per di più abbastanza precaria e compromessa. Tutto questo perché noi potessimo essere ricchi della sua miseria, cioè perché potessimo enumerare tutti i benefici di cui Dio ci ha resi privilegiati destinatari; perché potessimo prendere consapevolezza che per i suoi meriti vi è sempre un motivo per rendere grazie al Signore, poiché in un modo o nell'altro noi di benefici e di vantaggi siamo sempre ricolmi. Relativizzare i nostri problemi usando adeguato equilibrio senza tragiche conclusioni autolesionistiche è matrice di serenità interiore e di fiducia e il messaggio del fanciullo povero e perseguitato di Betlemme ci invita per l'appunto a non disperare, a relativizzare e a concentrarci più sui nostri vantaggi che sulle nostre persecuzioni. Questo avverrà per mezzo degli insegnamenti nella sinagoga o con il ricorso alle parabole o alle locuzioni intorno al Regno, ma ad esortarci al coraggio e alla fiducia è la vita stessa di Gesù Figlio di Dio, che si è fatto uomo per vivere, operare e interagire quale uomo fra gli uomini senza nulla omettere della nostra esperienze. La sua infanzia divina ci invita allo stupore, al fascino e alla considerazione del fascino delle risorse che dimorano dentro di noi e che attendono di essere sfruttate perché siamo felici, come pure ci ragguaglia della bellezza delle cose semplici che sono le più esaltanti.
E in tutti i casi, Dio Bambino ci rende edotti sul fatto che, al di là di ogni povertà o di ogni limitazione, noi siamo ricchi di un singolare amore divino. Immeritatamente siamo privilegiati di un amore che Dio ci rivolge sotto forma di un Fanciullo, quindi di un amore sincero, senza riserve e senza grandi pretese, appunto quale potrebbe esprimerlo un innocente pargoletto appena nato.
Fondamentalmente, piuttosto che condannato alle più aspre pene, l'uomo ha bisogno di sentirsi amato e prediletto, di avvertire che Qualcuno lo incoraggia sempre al meglio e che, nonostante i suoi limiti e le sue defezioni morali, ripone sempre fiducia in lui. L'uomo ha bisogno di essere motivato e sospinto al bene, spronato a dare il meglio di se stesso per non perdersi e autodistruggersi dando agli altri la parte peggiore di sé, ma quale sprone più efficiente potremmo avere se non quello che ci deriva da un Dio che si è umiliato spogliando se stesso fino a diventare Bambino? Quale forza migliore se non quella di un Onnipotente che si rende debole per noi rivestendo i panni di un esile Fanciullo? Si tratta della forza che ci deriva dall'Amore che supera le nostre precarietà e che ci fa sorridere delle nostre penurie e difficoltà.
Sempre l'amore di Dio nelle vestigia del Fanciullo oltrepassa anche la realtà sconcertante del nostro peccato, che è alla radice di ogni male. Alla persistenza nel peccato Dio reagisce mostrandoci l'efficacia di alternative migliori perché nasce egli stesso nella carne per assumere tutta la nostra vita, fatta eccezione per il peccato. Gesù Bambino è la decisione di Dio a vantaggio dell'uomo perché possa considerare che l'amore è più esaltante di ogni soluzione di vita peccaminosa e proprio questo è di fatto il Natale: l'amore che trionfa sul peccato e sulle nequizie umane e che dimostra come l'Inverosimile per l'uomo sia fattibile per Dio, perché solo Dio è capace di amore vero.
Quello che si ravvisa nel Bambino di Betlemme è oltretutto l'amore che dall'eternità era presso il Padre e per mezzo del quale il Padre ha posto in essere ogni cosa nello Spirito Santo, quindi l'unione di reciproca appartenenza fra Padre e Figlio nello Spirito che sussiste da sempre e che non resta chiusa in se stessa. L'amore Parola eterna e onnipresente che nel tempo propizio ha voluto farsi carne e venire ad abitare in mezzo a noi per mostrarci la sua gloria e di questa renderci partecipi. L'eternità entra nel tempo e percorre la storia umana tappa per tappa per farne esperienza affinché noi facciamo esperienza diretta della vita eterna; la Trascendenza assoluta diventa immanenza e pur restando se stessa diventa concretezza; l'infinito assume finitudine e limitazione per renderci illimitati invitandoci a superare noi stessi. Tutto questo insegna Giovanni nel suo Prologo evangelico che ci ragguaglia sul vero senso del Natale, senza smentire che tutto questo Mistero che si svela ha motivazione fondamentale dall'Amore di Dio che porta all'incarnazione. E questo evento avviene a Betlemme in un fenomeno piccolo che ci parla di cose grandi perché di ogi cosa possiamo rendere sempre lode.

Buon Natale a tutti.