Omelia (25-12-2018)
don Alberto Brignoli
Nulla di scontato: tutto è Grazia

Siamo andati a riposare, poche ore fa, con i pastori dei campi intorno a Betlemme che - forse per la prima volta, nella loro travagliata vita - avevano ricevuto un annuncio e un augurio di pace. E pare che neppure loro abbiano avuto il tempo di dormire un po', perché ce li ritroviamo qui, in perfetta continuità con quanto avvenuto questa notte, ancora meravigliati per gli angeli che si allontanavano da loro. Ma non hanno affatto perso tempo: del resto, è gente abituata a fare le ore piccole, perché il gregge non ha orari, perché la notte gelida trascorsa nelle tende non può essere particolarmente lunga, e poi perché avevano assistito davvero a qualcosa di inatteso e, per loro, di assolutamente impensabile.
Dobbiamo uscire un po' da quella visione idilliaca e bucolica sulla vita del pastore a cui ci ha abituati la nostra cultura latina, almeno da Virgilio in poi: nella società ebraica, i pastori erano numerosi, e costituivano la categoria plebea più bassa. Il loro contatto e la loro convivenza notte e giorno con gli animali rendeva impuri loro e tutto ciò con cui essi entravano in contatto. Non erano ammessi al culto, e non potevano testimoniare in sede processuale, proprio perché considerati impuri, e anche disonesti, a causa delle frequenti violazioni dei confini territoriali e di qualche abuso nei confronti delle coltivazioni altrui: erano veramente gli ultimi, i più poveri, i più disprezzati. Se a questo aggiungiamo che alcune tradizioni orali ebraiche narravano che il Messia, arrivando, avrebbe assunto il ruolo di Pastore d'Israele sbarazzandosi di tutti loro, possiamo ben pensare che opinione avessero di Dio e delle cose che lo riguardavano: non potevano che provare terrore, oppure una totale indifferenza nei confronti del sacro. Eppure, l'annuncio della nascita del Messia è dato innanzitutto a loro, come ci è stato narrato questa notte.
Ebbene, in questa situazione così inattesa e anomala per loro, non si perdono d'animo: si scambiano due parole e decidono di andare nel villaggio, a Betlemme (sperando di non contaminare nessuno) per rendersi conto di persona di quanto era successo. Quando giungono a Betlemme, il colpo di scena: tutti, infatti, a partire da loro, ci immagineremmo chissà quale scoperta o sorpresa. E invece, la scena più semplice e più dolce di questo mondo: un giovane papà, una giovanissima mamma, e il loro primogenito avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia, in mezzo alla paglia, nel calore di una stalla. "Tutto lì?", ci verrebbe da dire. E in effetti, chissà quanti bimbi in fasce, quella notte, nelle case di Betlemme e dell'intero Israele. Niente di cui stupirsi. Ma quando i pastori narrano della visione che hanno avuto, "tutti quelli che li udivano si stupirono delle cose che dicevano". Soprattutto - possiamo immaginare - perché credo che nessuno si aspettasse che dei pastori parlassero così sapientemente di angeli e di cose di Dio. E non finisce lì, perché poco dopo si dice che "i pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano visto". Ma cosa mai avevano visto? Un bimbo appena nato, l'abbiamo detto poco fa: e che fosse o no il Messia, non avevano elementi per poterlo distinguere, se non le parole degli angeli, cui peraltro non erano abituati e che devono essere sembrate loro quantomeno inusuali. Eppure, ci sono almeno due motivi di stupore e di meraviglia, in ciò che l'evangelista Luca ci narra di quella mattina, di quell'aurora.
Il primo, è che l'annuncio della nascita del Messia, del Salvatore del mondo, dell'uomo che avrebbe definitivamente spaccato la storia in due, è dato a una categoria di persone a cui nessuno affiderebbe nemmeno un "pizzino" o un post-it con il promemoria di un appuntamento; e il secondo, è che quella stessa categoria di persone, i pastori, nella loro presunta depravazione che li rendeva impuri, reietti, emarginati, sono ancora capaci di stupirsi, di meravigliarsi, e di glorificare Dio per qualcosa che tutti noi consideriamo un fatto normalissimo, ossia un bambino appena nato che dorme in una culla.
Un fatto normalissimo e scontatissimo, quello della nascita di un bambino, come quando ne vediamo l'annuncio sul pannello luminoso informativo del Comune; un episodio senza grande rilevanza, che i primi ad accorrere alla grotta di Betlemme fossero i pastori, già che erano gli unici certamente svegli in quel frangente.
Eppure, sta proprio qui la grandezza del Dio di Gesù Cristo: quella di saperci far meravigliare per la sua nascita. Quella di farci stupire perché l'annuncio della salvezza rimane nascosto ai sapienti e agli intelligenti, ma è rivelato ai piccoli. Quella di capire, una volta per tutte, che della vita dobbiamo essere capaci di meravigliarci sempre, ogni giorno, ogni istante, perché nulla è mai dato per scontato. Nulla. Nemmeno la cosa più ovvia, come la nascita di un bambino.
Se imparassimo a dare meno per scontato tutto ciò che viviamo! Se imparassimo a non considerare tutto quanto "dovuto" quello che abbiamo! Se capissimo che di scontato e di dovuto non c'è nulla: né le camicie stirate di nostra madre o di nostra moglie, né la lezione del prof di matematica, né la cena preparata dalla mamma ogni sera per i suoi familiari, né l'acqua che scende d'immediato appena apriamo il rubinetto, né il sole che sorge ogni mattina, né le stelle che brillano nel cielo di notte, e neppure il germoglio d'erba che spunta nel solco dopo il lungo silenzio dell'inverno.
Nulla è scontato, tutto è dono, tutto è Grazia. Ma solo ai piccoli è dato di scoprirlo e di stupirsi anche per la cosa più semplice e banale. Sarà per quello che Dio ha scelto, per salvarci, di farsi piccolo come un bambino.