Omelia (30-12-2018) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Al di la dello smarrimento in carovana Incresciosi atti di disperazione anche legati a stati di instabilità psichica inducono non pochi genitori a uccidere barbaramente i propri figli o a gettarli appena nati nei cassonetti della spazzatura. L'inesperienza e l'impreparazione di tante ragazze che prematuramente si trovano ad essere madri sospingono queste ad abortire per poi trovarsi a sostenere gravosi sensi di colpa. L'egoismo di tante coppie che, una volta professionalmente affermate, vogliono escludere dal loro matrimonio gli impegni, le lotte e le responsabilità che per loro comporterebbe la prole, induce a ricorrere con facilità all'aborto, alla contraccezione o comunque all'esclusione dei figli dalla vita sponsale. Nello stesso tempo però i fa esperienza anche di donne in preda alla depressione e allo scoramento per l'impossibilità di avere dei bambini, a causa dell'impotenza o della sterilità congenita e tantissime donne spasimano e soffrono confrontandosi con altre che hanno avuto il dono dei figli. Ci sono coloro che i figli non li vogliono e farebbero di tutto per evitarli, altri che darebbero qualsiasi cosa pur di portare a termine una sola gestazione. Ciò dovrebbe essere sufficiente a prendere coscienza del fatto che la presenza di bambini nella vita sponsale è sempre una gioia comunque vadano le cose e che non è ammissibile concepire un matrimonio con l'esclusione volontaria della prole. Non solamente ogni matrimonio, per il solo diritto naturale, è orientato alla procreazione oltre che al bene stesso dei coniugi, ma la presenza dei figli è sempre da considerarsi un traguardo raggiunto, un motivo di gioia e di esultanza non importa se questi siano nati tarati o con deformazioni fisiche o mentali. Non importa se la loro crescita e il loro accudimento comporterà poi seri impegni e responsabilità e a volte sofferenze. Stando alla dimensione della fede, i figli sono sempre un dono di Dio e come tale vanno valorizzati e come vorremmo che le donne sterili e impossibilitate a partorire si trovassero tutte nell'esultanza di Anna, moglie di Elkana, di cui parla la prima lettura. Che è la stessa situazione privilegiata di Sara, moglie di Abramo, di Elisabetta e di tante altre donne della Scrittura la cui fede nel Signore viene ricompensata. La formazione e l'educazione della prole comportano certamente non pochi sacrifici e a volte preoccupazioni e pericoli per loro, soprattutto man mano che i ragazzi si avviano all'adolescenza, tempo difficile sia per i ragazzi stessi che per le loro mamme, a volte in grande difficoltà a capirli o a saperli trattare. Non è facile educare e spesso confronto e dialogo restano delle teorie inapplicabili, ciò tuttavia non pregiudica che l'arrivo e la presenza dei figli costituisce sempre una benedizione che non può non incuterci coraggio e invitarci a perseverare nei problemi e nelle difficoltà. Del resto è sempre allettante e motivo di soddisfazione e di grande contentezza notare, quando si è avanti negli anni, che i nostri figli ci hanno superati nelle affermazioni professionali o che hanno accresciuto i nostri stessi successi qualora abbiano intrapreso la nostra stessa attività. E' bello poter notare che in un modo o nell'altro i nostri sforzi per crescere e per formare alla vita non sono mai inani e improduttivi. Il famoso episodio dello smarrimento di Gesù durante il pellegrinaggio di Maria e Giuseppe a Gerusalemme è allusivo di come le attenzioni che il Divino Fanciullo debba avere nei confronti del Padre celeste hanno sempre la prevalenza su quelle - certamente importanti e inderogabili - da usare verso i genitori terreni: seppure egli è umilmente e fedelmente sottomesso ai suoi, Gesù non può mancare di occuparsi delle "cose del Padre suo" e questo non dovrebbe stupire né impensierire di fatto i suoi genitori. Gesù è pur sempre il Figlio di Dio che un giorno annuncerà in parole e in opere il Regno parlando con autorità e dando fondamento alla Legge e alla Scrittura e nell'episodio della Trasfigurazione sosterà accanto a Mosè e a Elia e il fatto che adesso "siede in mezzo ai dottori" lascia intendere che non è solamente spettatore passivo, ma partecipe e intenzionale procacciatore della volontà del Padre suo che egli stesso dovrà eseguire. Non che vi sia disinteresse nel ragazzo verso i suoi genitori o insensibilità alle loro pene; semplicemente si evince che la sua familiarità profonda con il Padre ha la prevalenza su di loro. Anche a Cana di Galilea (Gv 2) userà nei confronti di sua madre l'espressione fredda e distaccata di "Donna", per qualificare che l'"ora" della volontà del Padre ha la preminenza sulla sua richiesta di intervento. Tuttavia l'episodio tratteggia anche la costanza e la perseveranza di due giovani sposi nel condurre la vita del loro pargoletto, il loro impegno, l'abnegazione che usano, la puntualità nei doveri e nelle responsabilità, la premura e ogni altra prerogativa tipica del vivere il tempo della formazione da genitori. Si nota sullo sfondo la volontà di Giuseppe e di Maria che il loro bambino cresca in sapienza e in umanità fidandosi e confidandosi con loro e fra le righe anche la disponibilità a prodigarsi in tutti i modi per lui. Vi è altresì in Maria e Giuseppe l'unità e la concordia anche nella prova e nell'angoscia che la ricerca frenetica del bambino comporta per loro, il perdurare della loro fedeltà reciproca anche nelle difficoltà e nelle sofferenze che oltretutto pongono sempre pace fra i coniugi quando l'obiettivo da perseguire è il bene dei loro figli. La famiglia di Nazaret ha la meglio sullo smarrimento in carovana. |