Omelia (02-11-2018) |
don Lucio D'Abbraccio |
Aspetto la risurrezione dei morti Oggi vengono commemorati tutti coloro che sono morti nel segno della fede in Cristo. La pietas verso i nostri fratelli morti risale agli albori dell'umanità. Fin dall' epoca delle catacombe l'arte funeraria nutriva la speranza dei fedeli. A Roma, con toccante semplicità, i cristiani rappresentavano sulla parete del loculo, in cui era deposto un loro congiunto, la figura di Lazzaro. Quasi a significare: come Gesù ha pianto per l'amico Lazzaro e lo ha fatto ritornare in vita, così farà anche per questo suo discepolo. La commemorazione liturgica di tutti i fedeli defunti prende forma nel IX secolo. La festività, però, è celebrata per la prima volta nel cristianesimo nel 998, per disposizione di sant' Odilone, abate del monastero di Cluny, e poi si diffonde a tutti i monasteri cluniacensi. La Chiesa romana accetta la festa in modo ufficiale nel 1311 e nel 1915 papa Benedetto XV permette ai sacerdoti di celebrare tre Messe di suffragio: la prima secondo l'intenzione del celebrante, la seconda secondo l'intenzione del Papa e la terza in suffragio di tutti i defunti. La giornata di oggi ci esorta a riflettere sul significato di sorella morte, come la chiamava il Poverello d'Assisi. La morte fa paura perché l'uomo non riesce ad accettare che tutto quanto di bello abbia visto e vissuto nella propria vita, possa essere cancellato e per questo motivo non parla e forse non pensa alla morte; ma nonostante la morte sia spesso un tema non proibito, ma quasi, nella nostra società, essa riguarda ciascuno di noi. Il pensiero della morte ci accompagna costantemente anche quando ci sembra che non lo pensiamo, o quando facciamo in modo di fuggire via da esso. Davanti a questo mistero, tutti cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia consolazione, che offra ancora un futuro. La strada della morte, in realtà, è una via non della paura ma della speranza. Le letture che la liturgia della Parola di oggi ci propone, ci invitano a non aver paura della morte ma a sperare nel Signore. Solo chi spera nel Signore non resterà deluso e avrà la ricompensa nei cieli: «Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5, 12a). Infatti, per noi cristiani, oggi, non è una giornata di lutto, ma una giornata in cui ricordare che Cristo è la nostra salvezza perché: «Chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell' ultimo giorno» (Gv 6, 40). La morte, dunque, è il passaggio obbligato verso la vita piena. Un passaggio da affrontare senza evasioni, con realismo umano e cristiano. Ce ne dà esempio il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, ammalato di Parkinson e morto nel 2012, che nel contesto di una morte imminente, sentendosi già arrivato nell' ultima sala d'aspetto, non nasconde il suo travaglio interiore per arrivare ad accettare la morte. Infatti lui stesso dice: «Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio». Davanti al mistero della morte, che richiede un affidamento totale, Martini conclude: «Desideriamo essere con Gesù e questo nostro desiderio lo esprimiamo ad occhi chiusi, alla cieca, mettendoci in tutto nelle sue mani». Non dobbiamo, quindi, aver timore della morte ma affidiamoci al Signore, che è «nostra luce e nostra salvezza» (Sal 26). Ogni anno la Chiesa ci fa commemorare i nostri fratelli defunti, non con la nostalgia di chi li pensa perduti per sempre, ma con la speranza di chi li crede viventi in Cristo, destinati alla risurrezione finale tanto è vero che nella nostra Professione di fede (simbolo niceno-costantinopolitano) diciamo: «Aspetto la risurrezione dei morti». La risurrezione di Gesù dai morti, infatti, è il fondamento della nostra fede. È, dunque, la luce della Pasqua che ci permette di dare un senso alla morte e a ogni tipo di sofferenza, come anche di illuminare la nostra esistenza con la speranza certa della «risurrezione della carne» (simbolo detto "degli Apostoli"). Di fatti, la nostra speranza è di risorgere con Cristo e di vivere per sempre con Lui, di partecipare al grande mistero dell'amore trinitario di Dio, di vedere il volto dell'Eterno, senza perdere nulla di noi stessi, dei nostri affetti, dei nostri legami, delle persone che amiamo e per le quali abbiamo sofferto e pianto. Qual' è dunque il significato di questa vita e che senso hanno tutti i legami di amore e di amicizia che abbiamo vissuto nella nostra storia? La risposta viene solamente da Cristo risorto dai morti, da quel Dio che asciugherà le lacrime su ogni volto e ci inviterà a mensa con Lui. L'Eucaristia che celebriamo, nella Commemorazione di tutti i fedeli defunti, ci permette di riflettere, non senza nostalgia, sul grande mistero della comunione dei santi, sulla bellezza di essere corpo del Signore, di appartenere a quel Regno di Dio che si è manifestato nella passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne, che più non muore. La morte, allora, alla luce di Cristo, diviene passaggio - transitus - da questo mondo al Padre, nonché compimento della vita e non la fine di tutto, trasformazione dell'esistenza e, ancora, consegna fiduciosa nelle mani di Dio, senza paura di cadere nel nulla. |