I tre spericolati
Tre spericolati d'Oriente: "Mancava loro qualcosa? - mugugnavano alcuni della segreteria dell'università - Stimati, riveriti, acclamati. Eppure non è bastato per farli contenti. Non è mai contenta la gente!" Nient'affatto felici, scendono per strada «a cavallo de' loro cammelli, colle bolge gonfie appese alle selle, avevan guadato il Tigri e l'Eufrate» (G. Papini). Si presentano da soli: "Lui è Gaspare, e lui è Melchiorre. Io, invece, sono Baldassarre". Malcontenti, spericolati, inquieti. Sognano un appuntamento al buio con la luce. Una stella li ha incuriositi: cos'è la ricerca se non un incontro al buio con la conoscenza? Han curriculum da fare paura ad un'enciclopedia: gli sguardi all'insù - «Alza gli occhi intorno e guarda» (cfr Is 60,1-6) - han permesso loro di guardare bene all'ingiù. Laddove tutti erano capaci di vedere, loro guardavano: vedere è accontentarsi del guscio, guardare è avere l'acquolina in bocca per la mandorla. Gustare la mandorla è rompere il guscio che la protegge. Nelle loro terre natìe d'Oriente erano i re a comandare i popoli, ma erano i Magi a guidare i re: abili nell'interpretare i sogni, solo a loro era data l'intelligenza del tempo futuro. Dentro il tempo presente. Sapevano una verità, quella delle stelle: loro volevano la verità, quella che muove il sole e tutte le altre stelle. S'incamminarono quando una stella fece sbocciare dentro loro un sospetto: che la Verità fosse prossima a rivelarsi. Di più: che la Verità si fosse già messa alla ricerca di loro. Nascosta nella fragile segnaletica di una stella: «Non è vero che il ricercatore insegue la verità - scriveva F. Musil -, è la verità che insegue il ricercatore».
Si misero alla caccia: si sentivano già braccati.
Gente avventurosa i Magi. Da spericolati hanno sbagliato pure strada: chi osa muovere i passi, sa che camminare è percorrere delle strade per vedere se sono vicoli-ciechi. Sbattono di qua, sbattono di là, sembra tutta gente senza una cartina. Brancolano al buio pesto delle notti d'Oriente, imboccano la tangenziale che porta dritta alla città di Erode, perdono la stella. Fari spenti nella notte: «Gli dei non hanno certo svelato ogni cosa ai mortali fin da principio ma, ricercando, gli uomini trovano a poco a poco il meglio» (Senofane). Trovano il meglio dentro il peggio. Azzeccano la strada del Bambino disquisendo col marciume massimo in circolazione: Erode, la belva dei bambini. "Potevano accontentarsi, cosa c'era che li mancava?" li sbeffeggiò il loro paese appena saputo dell'imbottigliamento nella reggia, della stella-spenta. "Carissimi paesani, vivere è rischiare di morire" scrissero loro come risposta nel pensiero: nessuna rivalsa, zero astio, assoluta carità lessicale. Spericolati fino all'ennesima potenza: sbagliato strada, alla resa preferirono l'avventura, l'ennesima. Si rimisero in cammino, firmando una legge che mai più passerà: il santo ha un passato, il peccatore ha un futuro. Appesi al segnale della stella, fiutarono il filo d'Arianna che il Bambino aveva teso loro: la vera sciagura, a Betlemme, non è il peccato ma la disperazione. Avanti sempre!
Schivata, schifata, la lordura dell'Erode-bestia, riappare la stella. Riappare la gioia: «Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima». Con ancora più spericolatezza di prima, corrono addosso alla stella, incontro al Bambino. "Non potranno dire che mancassero loro gli inchini. Erano tutti ai loro piedi qui dentro all'università": son pensieri che s'affastellano quelli dei vecchi colleghi di sapere. I piedi, loro, li vogliono baciare stavolta: saperseli baciati non è più una certezza che sazia il loro cuore-urgente. Nella grotta perdono l'equilibrio. I tre spericolati cadono, sono in ginocchio: «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua Madre, si prostrarono e lo adorarono». In ginocchio di fronte al Re-Bambino: in piedi, inamovibili, di fronte ai re-fantocci. Erode, la bestia smunta, è sull'attenti, in attesa che tornino. Loro, nel frattempo, si rialzano ancor più spericolati: «Per un'altra strada fecero ritorno al loro paese». Andando han perduto la strada, nel ritorno ne aprono una loro: neanche l'asino cade due volte nella stessa buca.
|