Omelia (13-01-2019)
padre Gian Franco Scarpitta
La liberazione per la libertà

Più importante della libertà è la liberazione. Essa infatti indica la fine dell'asservimento alla volontà altrui, la conquista dell'autonomia e della possibilità di emancipazione e soprattutto la fine di ogni vincolo e di ogni condizionamento. Coltivare a fondo la liberazione acquistata, questo è invece libertà. Non è affatto paradossale né fuori luogo affermare che al giorno d'oggi vi è tantissima libertà eppure abbiamo bisogno di liberazione, cioè di riscatto da forme di schiavitù le cui catene sono opprimenti ma impercettibili. Ci illudiamo cioè di agire da persone libere, ma in realtà siamo dominate da condizionamenti esteriori ed interiori, soprattutto quando venga a mancare il senso del dovere e della responsabilità personale o quando siamo sottomessi a vizi e passioni. In casi simili si vive nella libertà smodata e irrefrenabile, che è subdola e illusoria, ma si avverte di dover essere emancipati da schiavitù congenite. Non si agisce mai da persone libere quando si osserva una legge per il solo timore della pena che potrebbe comportare, omettendo ogni coinvolgimento personale nei nostri atteggiamenti e facendo ogni cosa con fare distaccato. Non si vive da persone libere finché non concorre il dovere etico di responsabilità su ogni cosa, ma si è suggestionati da soli fattori di coercizione. Neppure si è veramente liberi quando si è asserviti dagli istinti e dalle passioni. Già Seneca diceva: "Non né libero chi è schiavo del proprio corpo". E ancora: "Chi teme è schiavo." Tutte le volte che si ottiene la liberazione da una schiavitù che ci ha assillati e oppressi, si sperimenta un senso di benessere e di elevatezza, come quando ci si libera dal vizio del tabacco (come a me è capitato oltre 15 or sono): dopo due giorni di patimenti e di sofferenze, si avverte un interiore stato di rilassatezza, una leggerezza consolante che pervade tutto il corpo al punto da farti sentire rinnovato e disinvolto, più ottimista. Ogni volta che ci si sente liberati da un gravame opprimente si avvertono sempre simili stati d'animo di piacevolezza.
Ciò che ci rende schiavi fondamentalmente è in effetti il malessere comune che ci caratterizza e che è alla base dei mali di tutti i tempi, cioè il peccato.
Isaia annuncia il riscatto e la liberazione del popolo d'Israele dall'oppressione dei Babilonesi. Ma la promessa è rivolta a chiunque attende liberazione, non tuttavia nel senso che intenda liberarsi egli stesso, ma che aspetta qualcuno che venga a liberarlo. Nella Bibbia il liberatore dall'oppressione è sempre Dio, che con la sua affermazione decisionale e con la sua potenza interviene a favore dell'uomo sciogliendo il legame opprimente della schiavitù. Con la liberazione del popolo dall'esilio babilonese, che avverrà di fatto con l'editto di Ciro, Dio recupera il popolo alla libertà: il popolo potrà tornare in patria e godere dei vantaggi della nuova vita e pertanto può gioire e rallegrarsi.
Ma la liberazione ottenuta in materia di politica non deve fare trascurare che la vera schiavitù che rendeva succubi e sottomessi era quella della mancata comunione con il Signore, il rifiuto della sua misericordia e della comunione con lui.
Come denuncia Isaia, il popolo di Israele avverte in tutti i tempi la necessità di essere liberato dal morbo maligno dell'allontanamento da Dio, che è il peccato, causa di ogni sorta di malessere nella vita individuale e collettiva, sicché Dio promette all'uomo che sarà riscattato e redento per la salvezza e la gioia e che il suo peccato sarà eliminato.
Dove avviene la nostra liberazione?
Già Isaia (cap 53) a proposito del Servo Sofferente ci prefigurava come Dio espiasse le nostre iniquità; lo stesso Signore Dio, in Cristo suo Figlio, espierà i peccati di tutti quanti gli uomini addossandoseli sul legno della croce. Scrive Pietro: "Egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca... Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti." (1 Pt 2,22.24). Anche Paolo dirà che Gesù Cristo pur non conoscendo peccato viene trattato da Dio Padre come se fosse egli il più grande peccatore; pur essendo innocente e immacolato, Cristo paga sul legno tutte le pene che avrebbero dovuto scontare i peccatori e si addossa quindi tutte le loro colpe e tutte le loro iniquità. Sulla croce avviene la liberazione dal vero male che avvelena la vita umana e che produce, con la resurrezione di Cristo, esaltazione e gioia immensa, come appunto avviene ogni qual volta ci si senta riscattati.
Nell'episodio che oggi ci propone il Vangelo di Luca vi è già un preambolo di questa espiazione che i teologi chiamano "soddisfazione vicaria" (realizzata cioè in vece nostra): pur essendo estraneo al peccato avverte di dover fare anch'egli la fila davanti a Giovanni Battista mentre questi dispensa un battesimo a tutti i peccatori convertiti. Giovanni stava amministrando un battesimo dal solo segno esteriore, che voleva attestare l'avvenuta conversione di coloro che lo ricevevano. Anche Cristo, confondendosi nella turba di gente che fa ressa al Giordano, probabilmente in incognito e senza vane pretese, si avvia a ricevere il medesimo battesimo, appunto perché consapevole che per volere del Padre egli non può non avvicinare coloro che hanno peccato in tutta intimità per collocarsi esattamente accanto a loro. Gesù si umilia al punto di sentirsi egli stesso peccatore alla pari di tutti quanti loro, condividendo speranze e prospettive, come pure stati di smarrimento e ansie dovute alla consapevolezza di aver mancato verso Dio e questo atto di umiltà non passa inosservato perché sfocia automaticamente in un riconoscimento proporzionato e appropriato.
Con la fuoriuscita dall'acqua Gesù ottiene infatti il dono dello Spirito Santo simboleggiato metaforicamente dalla colomba (dolcezza, pace e gioia nella novità di vita) e viene istituito solennemente Figlio di Dio; e contrassegnato sotto questo aspetto intraprenderà il suo ministero a cominciare da Cafarnao. Egli stesso invierà gli apostoli a battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e il battesimo che egli stesso istituirà è ben differente da quello che aveva impartito il Battista poiché è esso stesso agente di rigenerazione a nuova vita. Nel battesimo trinitario, che tuttavia Pietro definirà anche battesimo nel nome di Gesù (At 2) Gesù stesso, nel ministero del sacerdote e per mezzo del segno dell'acqua, rigenera e infonde nuova vita in un lavacro di liberazione dallo stato di peccaminosità.
Esso è il primo Sacramento della vita cristiana e libera dal peccato per introdurci nella vita di grazia vincolandoci al Capo (Cristo) che è all'origine del Corpo (la Chiesa), sicché chi viene battezzato è affrancato dal peccato e introdotto nella vita della Chiesa essendo egli stesso membro dell'unico Corpo Ecclesiale nella compagine dei fratelli uniti a Cristo. Il battesimo scaturisce dal mistero della croce, sulla quale, trafitto al costato, Gesù emise sangue e acqua, quello simbolo dell'Eucarestia, questa simbolo appunto del primo di tutti i Sacramenti e della stessa croce assume efficacia di salvezza, ottenendoci quella liberazione sulla quale possiamo fondare la vera libertà.