Omelia (06-01-2019)
don Alberto Brignoli
Pur di non mettersi alla ricerca di Dio...

Ci sono persone che hanno l'assoluta convinzione di conoscere Dio, e di sapere, se non tutto, certamente molte cose di lui. Sarà perché hanno una certa familiarità con le cose che riguardano la religione; sarà perché sono persone che hanno consacrato la vita a lui; sarà perché hanno una vita di fede non solo teorica, ma anche fortemente praticata; sarà per chissà quale altro motivo: sta di fatto che si sentono talmente sicure di conoscere Dio, che danno per scontato che Dio sia come loro ce l'hanno in mente, o che si riveli e si manifesti secondo alcuni schemi o canoni ben assodati, per cui nemmeno più si preoccupano di approfondire la propria fede e la propria conoscenza di Dio. Al punto che poi, quando qualcuno chiede loro di motivare la propria religiosità, di approfondire le proprie conoscenze di Dio, oppure di rendere ragione della fede che è in loro e di aiutare altri a camminare nella ricerca di Dio, vanno in totale confusione, non sanno più come rispondere, e tirano fuori le classiche rispostine da catechismo che vanno bene per ogni situazione; oppure, ancor peggio, di fronte a persone che mandano in crisi la loro visione di fede con domande, approfondimenti, richieste di cammini più approfonditi, rispondono con atteggiamenti poco concilianti, poco pacifici, se non addirittura collerici, della serie "Che cosa vieni qui a fare a disturbare la mia fede? Lasciami stare: se non hai chiaro chi è per te Dio, non vedo perché devi venire a sconvolgere le mie certezze!".
Tutti vanno rispettati, nel loro modo di vedere Dio, ci mancherebbe altro, e nessuno può avere la pretesa di obbligare un altro a cambiare le proprie acquisizioni di fede: chi fatica a credere, non può avere la pretesa di smontare la fede di un altro, e chi fa della fede una certezza di vita assoluta e immutabile, non può permettersi di giudicare o ancor peggio condannare chi ancora è alla ricerca di Dio. Però va anche detto che una fede che rifiuta il confronto, il cambiamento, la crescita, lo scambio di opinioni solo per evitare di andare in crisi, difficilmente potrà crescere e progredire nella conoscenza di Dio. E alla fine, rischierà pure di soffocare, di uccidere l'immagine pur bella di Dio che ha in sé: di un Dio che, almeno per la nostra fede cristiana, si rivela come un Dio comunque sempre in movimento, in divenire, in cammino fianco a fianco con l'umanità, soprattutto con quell'umanità che noi riteniamo perduta e lontana da lui. E si badi bene che si può essere lontani da Dio pur vivendo a fianco di una chiesa, pur essendo cresciuti in una famiglia profondamente cristiana, e addirittura anche qualora ci si professasse credenti e praticanti. Perché essere lontani da Dio, non necessariamente significa appartenere ad altri popoli, ad altre fedi o ad altre culture: vuol dire non accettare di camminare con lui.
Forse, questo è il messaggio più bello dell'Epifania. Forse, questo è ciò che è avvenuto con quelle leggendarie quanto affascinanti figure di Magi provenienti da oriente che, seguendo una stella oggetto dei loro studi astronomici perché molto particolare nella sua lucentezza, hanno deciso di mettersi in cammino per andare ad adorare il re dei Giudei che era nato. E dai doni che poi sappiamo aver consegnato alla famiglia del bambino nella casa di Betlemme, comprendiamo pure che non erano venuti solamente a venerare un possibile futuro erede al trono, ma qualcuno che rappresentava per loro la piena realizzazione dell'umanità, ossia l'uomo nuovo, e la presenza divina nel cuore di ogni uomo e di ogni donna che vanno alla ricerca di Dio; senza la pretesa di comprenderlo e di tenerlo saldamente in mano, bensì solamente di "adorarlo", cioè di contemplarlo.
Cosa che non riesce alla Città Santa, a Gerusalemme, che invece di essere contenta di essere messa al centro dell'attenzione da parte dei popoli di tutta la terra (come più volte i profeti avevamo annunciato, ascoltando anche le parole di Isaia nella prima lettura), "rimane turbata", sconvolta, di fronte a gente misteriosa che per mettersi alla ricerca del Re vero uomo e vero Dio, era appositamente venuta "da oriente". E già dire "oriente", per un ebreo come Matteo, è significativo, perché il Sole che sorge dall'alto e che dà vita all'umanità viene proprio da oriente: e allora, mettersi alla ricerca di Dio seguendo la sua stella e provenendo da oriente significa, in fondo, avere già Dio nel cuore pur senza conoscerlo; significa avere il desiderio di venerare la saggezza di un re pur senza averla sperimentata; significa sentire il bisogno di sperimentare umanità all'interno di un'esperienza di fede e, possibilmente, all'interno di una religione, pure se diversa dalla propria.
E grazie a Dio, ma potremmo dire, in maniera figurata, grazie alla sua buona stella che li guida, questi misteriosi personaggi venuti da oriente incontreranno la saggezza di un re e adoreranno la sua umana divinità e assaporeranno la sua divina umanità da soli, senza l'aiuto di quelle persone che, tanto sante da vivere a Gerusalemme, tanto religiose da aver consacrato la loro vita a Dio, e tanto depositarie della verità da farne addirittura motivo di potere, non solo non incontrano Dio, ma rimangono talmente turbate e sconvolte da cercare di distruggerlo, pur di evitare di mettersi in cammino, in discussione per riscoprirlo e incontrarlo nuovamente.
Questo avvenne in quei giorni tra Gerusalemme e Betlemme; questo può avvenire a ognuno di noi, ogni volta che ci rifiutiamo di metterci in cammino, alla ricerca e alla riscoperta di Dio, seguendo la sua stella.