Omelia (27-01-2019) |
mons. Roberto Brunelli |
Rivolto a chiunque voglia essere Teòfilo Il brano evangelico della Messa odierna si compone di due parti distinte. La prima (Luca 1,1-4) è data dall'esordio del vangelo prevalente quest'anno. Prima di mettersi a riferire della vita terrena di Gesù, l'evangelista Luca professa il suo scrupolo di storico: quanto scrive è frutto di "ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi" riguardo agli "avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari". Segue la dedica e lo scopo del suo scritto: "per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto". Chi sia il personaggio per il quale Luca ha composto il suo vangelo non ci è dato sapere; ma considerando il suo nome (Teòfilo significa "amico di Dio") non è escluso che esso indichi chiunque voglia essere appunto amico di Dio e perciò si preoccupi di conoscerlo meglio, per dare fondamento alla fede che professa. Questo è anche il senso in cui sin dagli inizi i cristiani hanno inteso lo scritto di Luca, accostandolo agli altri tre vangeli che espongono i fatti e gli insegnamenti del loro Signore. La seconda parte della lettura odierna (Luca 4,14-21) narra un episodio avvenuto nella fase iniziale della vita pubblica di Gesù. A circa trent'anni, trascorsi nell'anonimato dell'insignificante villaggio di Nazaret, egli si era trasferito nella città di Cafarnao, e qui, come poi nei villaggi vicini, egli aveva parlato alle folle e risanato gran numero di malati, guadagnandosi grande notorietà e stima. Un giorno, per la prima volta egli fece ritorno al suo villaggio e, da buon ebreo rispettoso della legge, secondo l'usanza il sabato intervenne all'assemblea comunitaria nella sinagoga. Il momento centrale del rito consisteva nella lettura e relativo commento di un passo della Scrittura. Quella volta si alzò a leggere lui: e possiamo facilmente immaginare con quanta curiosità i presenti attendessero di vedere, quel loro compaesano divenuto famoso, quale brano avrebbe scelto e come l'avrebbe spiegato. Ma tutto potevano aspettarsi, i nazaretani, tranne quello che invece avvenne. Gli fu dato lo scritto del profeta Isaia, ed egli vi cercò un passo ben noto a tutti, uno di quelli in cui meglio si delineavano i tratti del futuro Messia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio", eccetera. Il passo era di primaria importanza: il popolo d'Israele viveva dell'attesa del Messia; la promessa di un liberatore inviato da Dio accomunava tutti i discendenti di Abramo nella speranza di un riscatto dalle umiliazioni subite nei secoli ad opera di dominatori stranieri e tuttora in corso, con la dura soggezione all'imperatore di Roma. E tuttavia, i presenti a quell'ennesima lettura del profeta si saranno aspettati un commento simile ad altri già sentiti: il nostro Dio non ci ha dimenticato, secondo la sua promessa manderà il suo Inviato, del quale dobbiamo restare in fiduciosa attesa. E invece, mentre "nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui", il commento di Gesù risuonò come una bomba. Disse infatti: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato"; vale a dire: la profezia sul Messia si realizza oggi, adesso, perché il Messia annunciato sono io! Come si leggerà domenica prossima, gli abitanti di Nazaret non gli credettero, e anzi lo cacciarono dal paese. In qualche misura li si può capire; non era facile riconoscere il Messia in uno, vissuto sino ad allora in mezzo a loro come un uomo "qualunque". E anche oggi non è facile, riconoscere nell'umile operaio di Nazaret il "consacrato con l'unzione" (o, per dirla all'ebraica, il Messia, e alla greca, il Cristo). Non è facile; ma è necessario, è vitale, per chiunque voglia essere Teòfilo, cioè amico di Dio. |