Omelia (27-01-2019) |
diac. Vito Calella |
Da un "oggi" quatitativo a un "oggi" qualitativo «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi»: è Gesù risorto che ci ha appena parlato! È vero che ricordiamo un episodio avvenuto all'inizio della vita pubblica di Gesù, proprio nel paesino di Nazareth, dove lui era cresciuto, aveva vissuto, era conosciuto da tutti, aveva amici e parenti. Ma cerchiamo di entrare, con la nostra immaginazione, nella trama del racconto e immaginiamoci Gesù che ci parla oggi, in questa chiesa. Lui è il risorto, il vivente. Lui parla a noi con la «potenza dello Spirito Santo», che lo rendeva vincitore sulle tentazioni e lo accompagnava nella sua missione in Galilea ed ora è lo stesso Spirito Santo che rende questa azione liturgica domenicale l'azione del Cristo risorto, voce trasformatrice mediante l'annuncio della sua Parola, dono sempre nuovo e disponibile mediante la manifestazione della forza liberatrice della morte e risurrezione di Gesù nel pane e vino trasformati in corpo e sangue per noi, oggi: un oggi che non è più tempo cronologico, ma diventa tempo qualitativo di esperienza di incontro con Dio. Nella prima lettura abbiamo ascoltato un bellissimo racconto di liturgia della Parola avvenuto quando, dopo l'esilio, i primi cinque libri della Bibbia terminarono di essere redatti come tradizione scritta e furono consegnati al popolo. Il popolo riunito in piazza si lasciò coinvolgere così tanto nell'ascolto e nella custodia delle parole del Libro sacro che quelle parole toccavano le profondità del cuore di tutti, al punto tale che «tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole del Signore». In quella bellissima azione liturgica la gente non restava lì impalata, non era affatto spettatrice. Rispondeva con tutta la potenzialità dei gesti del corpo: «alzando le mani, si inginocchiavano e si prostravano con la faccia a terra dinanzi al Signore». Rispondeva con tutta la sincerità e la forza simbolica delle parole umane, dicendo, con un semplice ripetere «amen, amen», tutto il coinvolgimento, di anima, corpo, sentimenti, emozioni in quell'evento liturgico, dove c'era chi proclamava, c'era chi spiegava, c'era tutta una organizzazione in cui ciascuno svolgeva la sua parte. E il risultato fu la gioia della festa, la gioia della condivisione, della fraternità, concretizzata in quel grande banchetto popolare fatto di «carni grasse evini dolci» offerti a tutti, anche per chi non se lo poteva permettere. La sorpresa finale è che quella gioia popolare, frutto dell'ascolto trasformante della Parola di Dio, è detta «gioia del Signore»: «La gioia del Signore è la vostra forza». La gioia è data dalla comunione, da quella fraternità fraternità che si era creata, dalla condivisione di carne e vino, e dove c'è unità, c'è la presenza stessa di Dio, c'è la «gioia del Signore» che diventa una «forza» vitale, quando, terminata la festa di quel «giorno consacrato al Signore», si ritorna alla fatica del lavoro duro e alle sfide della vita quotidiana. Per noi la domenica è il «giorno consacrato al Signore». Nel venire a messa, mentre procediamo dall'ambiente familiare della nostra casa all'ambiente, si spera familiare e accogliente di questa chiesa, facciamo l'esercizio di renderci consapevoli che non siamo individui, non siamo membra staccate, isolate; siamo corpo, siamo il «Corpo di Cristo» che si sta visibilizzando attraverso l'incontro dei nostri corpi, delle nostre vite e, come «Corpo di Cristo» lasciamoci anche noi coinvolgere con tutto noi stessi in ciò che celebriamo nel rito della messa. Stacchiamo la spina dal correre quotidiano, entriamo nella celebrazione come se fosse la cornice più importante di tutte le cornici di attività di cui è fatta la nostra vita quotidiana. Sentiamoci «Corpo di Cristo»,, percepiamo che dall'ambone non c'è semplicemente un libro, non c'è una lettura, non c'è una riflessione da ascoltare, ma c'è la stessa voce di Cristo risorto da ascoltare, ci sono parole di vita da custodire nel cuore, c'è l'esperienza di una trasformazione da celebrare. Ciò che Gesù pronunciò nella sinagoga di Nazareth divenne il suo programma di vita e lo potremo contemplare accompagnando i passi di Gesù nella sua missione fino al momento culminante della sua morte di croce, ascoltando e accompagnando, quest'anno, soprattutto il racconto dell'evangelista Luca. Ma oggi quel programma di vita di Gesù di Nazareth diventa annuncio di vita del Cristo risorto per noi, oggi! Arriviamo in chiesa ogni domenica carichi delle nostre fragilità, spossati dallo stress delle sfide della vita quotidiana, appesantiti dalle tensioni di sofferenze fisiche, psicologiche, nostre e dei nostri cari. Arriviamo come se fossimo veramente ciechi, storpi, prigionieri. Ma c'è sempre una Parola viva che ci penetra dentro, ci trasforma, ci illumina, ci converte perché è parola del Cristo vivente. C'è un corpo e sangue che si dona oggi, nonostante i nostri fallimenti e inconsistenze. E siamo corpo di Cristo come comunità cristiana. Questo ci dà forza. Nella celebrazione è come se fossimo già tutti fratelli e sorelle, è come se fossimo già in pace, è come se l'unità nella carità circolasse tra di noi. Non è una finzione, non è un teatro; è un momento speciale, diverso da tutte le altre cornici della nostra vita quotidiana, è sentire che la nostra vita non dipende solo dalla nostra libertà, ma è frutto anche dell'iniziativa divina che si intreccia con la nostra perché il centro della nostra fede è Gesù Cristo, il risorto. Allora la nostra gioia coincide con la gioia del Signore Gesù, perché torniamo alla quotidianità portandocelo dentro con la forza trasformatrice delle sue parole e del suo essersi fatto dono di gratuità per noi.. |