Omelia (02-02-2019)
don Lucio D'Abbraccio
Luce che illumina le genti

Ogni anno, il 2 febbraio, celebriamo una festa significativa: La Presentazione di Gesù al tempio. Di essa si ha memoria a partire dal IV secolo a Gerusalemme. Dopo essersi diffusa in Siria, nel VI secolo, assunse a Costantinopoli con il nome di "Incontro" (in greco Hypapantè). Passando in occidente, nella seconda metà del VI secolo, sarà celebrata quaranta giorni dopo la nascita del Signore, cioè il 2 febbraio. Verso il 750, in Gallia assunse il nome, rimasto fino al 1969, di "Purificazione della beata Vergine Maria". A Roma, dove la messa veniva celebrata all' alba, il papa Sergio I (687-701) la fece precedere da una processione nella quale ognuno teneva in mano un cero: di qui il nome popolare di "Candelora". Ancora oggi la liturgia prevede la processione, cui si è aggiunta, dal X secolo, anche la benedizione delle candele. Con il suo nome attuale di "Presentazione di Gesù al tempio", questa festa ha ritrovato la sua originaria natura di celebrazione legata al mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio. La candela, dunque la luce, che viene consegnata nelle nostre mani ci unisce non solo a Maria e Giuseppe che salgono al tempio, ma anche a Simeone e Anna che accolgono il bambino che è la «luce che illumina le genti».
L'episodio, raccontato dall' evangelista Luca, narra che Maria e Giuseppe quaranta giorni dopo la nascita di Gesù lo portarono al tempio di Gerusalemme, per compiere un rito che era prescritto dalla Legge. Di quale rito si trattava? Gli israeliti consideravano ogni figlio primogenito come proprietà del Signore che aveva risparmiato i primogeniti degli ebrei dalla morte la notte dell'esodo dall' Egitto. Per questo lo portavano al tempio, come gesto di riconoscimento di questa proprietà, e lo riscattavano con un'offerta proporzionata alle possibilità economiche di ogni famiglia. Gesù era il primogenito e Maria e Giuseppe, mescolati alle altre coppie che sono lì per lo stesso motivo, da cittadini ubbidienti, fedeli alla legge mosaica, compirono coscienziosamente quel loro dovere compiendo i riti prescritti, e riscattarono Gesù con l'offerta dei poveri, cioè «offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la legge del Signore». I ricchi, invece, usavano un olocausto di bestiame grasso.
È da notare che l'infante Gesù appare come un bambino qualunque infatti, nella lettera agli Ebrei l'autore sacro scrive che: «doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (II Lettura). Gesù, dunque, assume in pieno la condizione umana nascendo in una famiglia all' apparenza simile alle altre. San Paolo, nella lettera ai Galati scrive: «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4, 4).
Ma di fatto Gesù con il suo ingresso nel tempio viene a dare compimento alle parole del profeta Malachia: «entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate» (I Lettura). L'evangelista oltre alla santa Famiglia menziona due vegliardi: Simeone e Anna. Di Simeone dice che è «uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele»; di Anna, invece, dice che era una «profetessa, vedova e aveva ottantaquattro anni». Essi attendevano il Signore e, «mossi dallo Spirito», precisa Luca, vanno al tempio, riconoscono, solo loro, in quel bambino il Salvatore, e traboccano di gioia. Simeone ha trovato lo scopo della sua vita in questo momento e ora può addormentarsi in pace. Egli accogliendo il bambino tra le braccia e benedicendo Dio dice: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
In Simeone e Anna sono rappresentati i giusti d'Israele che si incontrano col Signore, la loro attesa è compiuta, la loro preghiera esaudita. In questi due vegliardi possiamo vedervi oggi anche le persone avanti negli anni, tutti gli anziani. Simeone e Anna sono un modello per vivere da anziani. È sempre più facile nella nostra società scorgere uomini e donne, avanti negli anni, che ormai pensano con tristezza e rassegnazione al proprio futuro; e l'unica consolazione, quando è possibile, è il rimpianto della giovinezza passata. Il vangelo di oggi sembra dire che quello della vecchiaia non è un tempo da subire tristemente ma da vivere con speranza.
L'evangelista, inoltre, annota dicendo che Simeone annuncia a Maria: «anche a te una spada trafiggerà l'anima». Maria viene così associata al mistero doloroso: anche lei ha sofferto, in silenzio, ai piedi della croce, tanto è vero che la chiesa la invoca come Vergine Addolorata.
Da questa festa ne scaturisce una considerazione: la luce di queste candele deve farci impegnare a diventare luce, cioè essere trasparenti nella nostra vita.
Chiediamo al Signore affinché illumini il nostro pellegrinaggio terreno, tante volte sbandato e distratto, nel dare testimonianza del nostro essere cristiani ed essere coerenti col nostro credo.