Omelia (10-02-2019) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Chiamati da singoli per la comunità Circa sei anni or sono Benedetto XVI annunciò che avrebbe dato le dimissioni da Vicario di Cristo nonché pastore supremo della Chiesa e, come era da aspettarsi, la notizia fece scalpore e sollevò numerosi commenti e interpretazioni. Anche nel clero vi fu chi pensava a un atto di viltà e di pusillanimità da parte del pontefice, a una mancata volontà di affrontare la croce irrinunciabile che il ministero comporta; ma al di là di qualsiasi congettura e di qualunque idea si possa avere tutt'oggi intorno a una simile decisione del papa, io ho motivo di credere che Ratzinger nella sua scelta abbia esternato grande umiltà, obiettività e deferenza e fedeltà verso lo stesso ministero petrino, tutte virtù che non sempre si riscontrano negli uomini della gerarchia ecclesiastica. Giustificò infatti la sua soluzione decisionale per ragioni di salute, di età avanzata e di carenza di appropriati requisiti che non gli consentivano di continuare a svolgere adeguatamente il delicato ruolo di pastore universale del gregge. Aveva perseverato per otto anni nel suo ministero lottando anche contro precarietà di salute di varia natura, ma aveva esperito negli ultimi tempi che le forze andavano sempre più a mancargli; di conseguenza decideva di abbandonare l'incarico, soprattutto considerando che la "barca di Pietro" non era sua proprietà, che gli era stata affidata da Cristo, ma che adesso necessitava di una guida più appropriata. Ben lungi dal voler mantenere a tutti i costi una vana posizione altolocata di predominio, considerò che la sua rinuncia sarebbe stata un vantaggio per la Chiesa. Evidentemente era giunto a tali conclusioni dopo un ponderato itinerario di riflessione nel quale interpellava anche lo Spirito Santo. Questa riflessione oggi mi sovviene perché Mons. Cipriani, in uno dei suoi commenti alla pagina evangelica odierna, nota che la chiamata di Gesù alla sequela e all'annuncio viene rivolta quasi esclusivamente a Pietro, il quale fa la parte del leone in tutto il brano che Luca ci propone: Gesù sceglie proprio la sua imbarcazione per collocarsi fra le onde e parlare alla folla che gli stava facendo ressa; è proprio a lui che successivamente Gesù chiede di prendere il largo e di gettare le reti, intrattenendo con lui un breve dialogo. E' sempre Pietro a professare la sua fede nella parola del Signore e a confessare la sua indegnità peccaminosa, ma è allo stesso discepolo che Gesù affida ora il ministero di essere "pescatore di uomini", che secondo il testo originale greco deve leggersi come "colui che prende gli uomini per la vita", vale a dire che avrà il compito di fare in modo che il vangelo diventi vitale per tutti gli uomini attraverso la tenacia del suo annuncio apostolico. Certamente al seguito di Gesù si disporranno anche altri discepoli pescatori e apostoli saranno chiamati anche altri uomini liberamente scelti da Gesù e dallo Spirito Santo per tale servizio, tuttavia è abbastanza singolare che Pietro venga messo in risalto in questa pericope lucana, forse per indicare che 1) ogni chiamata vocazionale proviene da Dio 2) Pietro è egli stesso reso oggetto di chiamata (e di fiducia) 3) attraverso il suo ministero Cristo chiamerà anche altri alla vita della Chiesa e alla missione specifica. La figura di Pietro in sintesi ci ragguaglia del fatto che ogni scelta vocazionale è di divina provenienza, riguarda senz'altro il singolo soggetto credente, ma non può non avvenire e svilupparsi in seno alla comunità ecclesiale di cui Pietro è la guida. E' nella Chiesa infatti che matura il germe di ogni vocazione sia allo stato laicale e professionale, sia alla vita religiosa che al sacerdozio e sempre nella comunità ecclesiale ogni vocazione viene incoraggiata e sostenuta, perché al servizio della comunità stessa essa è orientata. Nessuno può definirsi "chiamato" o "inviato" a prescindere dalla "barca di Pietro" e la presenza del pontefice successore dello stesso primo apostolo è garanzia di consolidamento della comunione ecclesiale affinché ogni vocazione venga accolta con gioia dalla comunità e in essa possa prosperare e recare frutto. L'episodio della vocazione del profeta Isaia ci ragguaglia del fatto che la chiamata vocazionale soprattutto al ministero speciale dell'annuncio si colloca nel preambolo di un dialogo intenso personale fra Dio e l'uomo: il profeta, raffrontando la sua piccolezza in rapporto alla magnificenza di Dio si scopre "impuro" e "indegno", ma quasi immediatamente fa esperienza dell'amore dello stesso Signore, che provvede a purificarlo attraverso l'opera singolare dei serafini. Questa non solamente lo rinnova nell'intimo riabilitandolo moralmente dal suo peccato, ma lo rende anche consapevole di poter corrispondere a una chiamata particolare, al punto che egli, dimentico di essere stato impuro, proclama: "Eccomi manda me". E' Dio che prende l'iniziativa di attrarre a sé innanzitutto la persona dell'eletto per renderlo oggetto del suo amore e della sua confidenza, quindi per chiamarlo e inviarlo a una missione per la quale gli concede fiducia disinteressata, il tutto in un rapporto di intimità particolare di cui solo l'animo umano può essere protagonista. Ed effettivamente la vocazione - di qualsiasi natura - avviene sempre in una dimensione di confidenza nella relazione dialogica Dio - uomo, che chiama in causa la sfera interiore. Essa prende forma da un iniziale senso di inadeguatezza e di incapacità che viene un po' alla volta estinto dalla stessa relazione dialogica fra Dio e l'uomo e si sviluppa nel medesimo rapporto di confidenza personale per il quale è importante l'ascolto, la preghiera, la personale riflessione e l'interiorità sotto tutti gli aspetti. Tutti gli strumenti di grazia quali la preghiera e i Sacramenti aiutano ad assumere consapevolezza che nessuna scelta di vita o di missione avviene in forza delle sole qualità personali, né si determina da illusioni passeggere o spontanei desideri soggettivi di carattere esteriori: essa scaturisce dalla libera iniziativa di Dio che chiama e che, lui solo, è in grado di inviarci fornendoci mezzi e strumenti adeguati. Ciononostante nessuna chiamata vocazione può neanche prescindere dal fatto che siamo inseriti in un contesto comunitario e che ogni scelta è sempre orientata alla vita della Chiesa, al suo servizio e al suo progresso. Ciò inerentemente a qualsiasi scelta vocazionale, ma in particolar modo ogni vocazione allo stato di speciale consacrazione vive della Chiesa e in essa si sviluppa, matura e si accresce in forza dei doni dello Spirito, nella concretezza della vita comunitaria della parrocchia o della comunità e dell'assistenza di opportune persone di riferimento quali il parroco e il Direttore Spirituale. "Signore cosa vuoi che io faccia?" Qual è il senso della mia vita e quale il mio orientamento vocazionale? Sono domande pertinenti e irrinunciabili che vanno esternate sempre una volta premessa un'adeguata ottica di fede e alle quali solamente lo Spirito può dare risposte esaudienti. Nella piena spiritualità personale e nell'assistenza della comunità. |