Omelia (17-02-2019) |
mons. Roberto Brunelli |
Chi sono i ricchi, chi sono i poveri "C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e Sidone". Gesù è in Galilea; per ascoltarlo vengono anche da lontano (Gerusalemme è a oltre cento chilometri) e persino dall'estero (Tiro e Sidone sono città del Libano) e in questa ampiezza d'orizzonti egli lancia uno dei cardini della sua innovativa dottrina, le beatitudini. L'evangelista Luca ne dà una formulazione condensata rispetto a quella più nota di Matteo: le riduce da otto a quattro, cui contrappone altrettanti guai per chi segue vie contrarie; ma il significato globale è lo stesso, riassumibile nella prima: beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio; guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione". Di fronte a queste parole si pone subito la domanda di chi siano per Gesù i poveri e di conseguenza i ricchi. Ai due termini si dà oggi un significato piuttosto chiaro: povero è chi vive in ristrettezze, ricco è chi può permettersi il superfluo. Ne facciamo insomma una questione economica, con i suoi risvolti di giustizia sociale. Ora, è certamente nello spirito del Vangelo combattere la povertà, aiutare chi è nel bisogno, tendere a una distribuzione equanime dei beni della terra; ma primariamente Gesù proclama un senso più profondo dei due termini. In vista della meta cui ogni uomo dovrebbe tendere, cioè partecipare nel mondo futuro e definitivo alla vita stessa di Dio, povero è chi pone in Lui le sue speranze; ricco è chi confida nelle proprie risorse per costruirsi il paradiso adesso, in questo mondo. Povero è chi sa, e si regola di conseguenza, che se anche dispone di miliardi non può servirsene per comperare la salvezza. Povero è chi non approfitta della propria forza, della propria intelligenza, del proprio potere per sfruttare o umiliare chi ne è meno dotato. In questo senso, povertà e ricchezza non riguardano banalmente il portafoglio. Anche chi ha meno soldi o non ne ha per niente può nutrire pensieri, coltivare aspirazioni e assumere atteggiamenti da ricco, quando in cuor suo aspira ad esserlo, pur se fosse solo nel senso di aspirare all'autosufficienza: davanti a Dio anche lui è ricco, pur se non risulta tale all'anagrafe tributaria, perché l'uomo guarda all'apparenza, Dio guarda il cuore. E per converso, chi dispone di beni di fortuna o altri privilegi, ma non se avvale per opprimere gli altri, non ne fa motivo di arroganza, è disponibile alle necessità del prossimo e solo in Dio trova il senso della propria vita, presente e futura, rientra anch'egli nella categoria di quanti Gesù chiama beati. Dunque, essere ricchi o poveri davanti a Dio non è questione di fortuna, ma di scelta: una scelta che si rinnova ogni momento. La vita è un viaggio, in regioni dove non siamo mai stati, lungo una strada che continuamente si biforca: per decidere quale delle due possibilità scegliere, occorre considerare la meta cui conducono. Lo stesso concetto esprime con un'altra similitudine la prima lettura di oggi, tolta dal libro del profeta Geremia, che in sintesi dice: "Maledetto chi confida nell'uomo; benedetto chi confida nel Signore" e paragona i due, rispettivamente, a un tamerisco che cresce stentato in terra arida, e un albero piantato vicino a un fiume, verso il quale può protendere le sue radici. Il concetto viene riecheggiato nel salmo responsoriale: "Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte. È come un albero piantato lungo corsi d'acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene. Non così, non così i malvagi, ma come pula che il vento disperde; poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via dei malvagi va in rovina". |