Omelia (31-03-2019)
diac. Vito Calella
La parabola del vitello grasso

Il racconto rimane aperto
Rimaniamo col fiato sospeso dopo aver ascoltato questa parabola perché ci saremmo aspettati una stretta di mano tra il fratello minore, pienamente reintegrato nella casa del Padre, e il fratello maggiore, mai uscito da quella casa, ma rimasto fuori dallo spazio della festa, ad ingoiare la rabbia dell'ingiustizia di un padre incomprensibilmente ed esageratamente ospitale verso un figlio scellerato, un fratello da rinnegare. Gesù risorto ci ha parlato ed ha lasciato aperto il racconto: irrisolto il conflitto tra il padre e il figlio maggiore e senza una soluzione chiara la tensione tra i due fratelli.
In chi ci identifichiamo? Nel figlio minore o nel figlio maggiore?
Di solito siamo abituati a rileggere o riascoltare la storia di questa conosciutissima parabola per identificarci con uno dei due figli.
Siamo come il figlio minore?
Se ci identifichiamo con il figlio minore potremmo riconoscerci umili peccatori, bisognosi di tenere a bada il nostro orgoglio e di riconoscere i nostri atti dissoluti o esagerati a servizio del nostro tornaconto personale.
Forse ci ricordiamo che esiste il sacramento della riconciliazione. Siamo nel tempo di quaresima. Accostarci al sacramento del perdono potrebbe essere una scelta saggia che ci permette di sperimentare la gioia del ritorno a casa, cioè la festa del perdono, sempre disponibile da parte di Dio nostro Padre. Allora ci poniamo in un cammino di pentimento e di conversione.
L'invito a vivere una esperienza di riconciliazione mediante il sacramento della riconciliazione lo lo possiamo accogliere ascoltando le parole dell'apostolo Paolo, che, scrivendo ai Corinzi diventa Parola di Dio per noi: «Vi supplichiamo, in nome di Cristo, lasciatevi riconciliare con Dio!» (2Cor5, 20).
Ritornando alla parabola, se ci identifichiamo con il figlio minore, a volte può rimanere il marchio delle conseguenze delle nostre scelte e il sentirci giudicati da coloro che, nella comunità cristiana, si ritengono giusti e guardano dall'alto in basso coloro che hanno sbagliato. Siamo perdonati da Dio, ma quanto è difficile essere ospitati di nuovo dai nostri fratelli e sorelle!
Siamo come il figlio maggiore?
Se ci identifichiamo con il fratello maggiore, siamo della categoria di coloro che cercano di obbedire ai comandamenti di Dio e ci tengono a mostrare di essere fedeli praticanti della comunità cristiana. Attenti! Potrebbe verificarsi che, nonostante tante preghiere e celebrazioni non abbiano mai sperimentato di essere amati è accolti in Dio nella povertà della loro condizione umana e morale. Tutti possiamo essere come quei farisei e scribi del tempo di Gesù, cioè quelli della religione della meritocrazia. Pretendiamo di conquistarci la salvezza con le nostre buone opere e la nostra fedeltà ai precetti della vita cristiana, con atteggiamenti di distacco e di giudizio verso chi si è allontanato da una pratica di fede.
Più dalla parte del figlio minore!
Guardandoci attorno come comunità cristiana, gli appartenenti al gruppo del figlio minore sono per fortuna molto di più degli appartenenti al gruppo del figlio maggiore. La maggior parte di noi ha l'umiltà di sentirsi peccatore e ha già sperimentato nella sua vita la profondità e l'immensità del perdono del Padre.
Andando oltre l'identificazione in uno dei due figli: la parabola del vitello grasso!
Ma è ciò che ci vuole insegnare Gesù oggi ascoltando questa parabola? Vuole che facciamo un esame di coscienza e prendiamo posizione identificandoci o nel figlio minore o nel figlio maggiore dello stesso padre, che è il nostro Padre misericordioso? Sarebbe troppo poco. C'è di più!
In realtà questa non è né la parabola del Padre misericordioso, non è la parabola del figlio prodigo e nemmeno la parabola dei due figli. È la parabola dello stesso Gesù, che in questa storia, da lui stesso raccontata, si auto-rappresenta come il vitello grasso, cioè l'unico della storia che «necessariamente» deve fare una brutta fine per permettere la festa del ritorno alla vita di chi si era perduto e per provocare apposta l'indignazione rabbiosa di chi non ha ancora fatto l' esperienza, umanamente ingiusta, del perdono di Dio e dell'ospitalità gratuita nel suo cuore misericordioso. Un eco dell'offerta di Gesù nella morte di croce l'abbiamo ascoltata nel versetto che dice: «Gesù è colui che non aveva conosciuto peccato. Ma Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5, 21). Senza il sacrificio del vitello grasso non si poteva festeggiare il ritorno a casa del figlio minore, il quale aveva sperperato quasi tutta l'eredità preziosa della casa del Padre, che per noi cristiani è il dono dello Spirito Santo..
Quel figlio minore non aveva perso completamente tutta l'eredità del padre. Era rimasta in lui la consapevolezza di essere figlio. L'aveva riscoperta nell'ora della fame, quando cioè era arrivato in fondo al pozzo della sua fragilità umana. Se rimane la consapevolezza di essere figli amati del Padre, vuol dire che il nucleo più prezioso dell'eredità non è andato perso, nemmeno con il più infelice e dissoluto atto umano. Dio ci ha riconciliato con se, mediante il Cristo, mediante la sua morte di croce, di cui il vitello grasso diventa il segno evocatore.
Ma quello stesso vitello grasso ucciso, motivo della festa della riconciliazione, della vita nuova del figlio minore, è anche il motivo della discordia e del conflitto del figlio maggiore con il padre. Per quel vitello grasso ucciso, cioè per la morte del Figlio vissuta come ospitalità in Dio Padre di tutti noi peccatori, rimane un altro passo da fare, il più difficile e impegnativo, che non dipende più da Dio, ma dalla nostra libertà. Rimane la scelta faticosissima di perdonare chi ci ha offeso, resta una sfida aperta "la scelta" di vivere l'abbraccio di pace e riconciliazione non più tra noi e Dio, ma tra noi umani, fratelli e figli dello stesso Padre. Che la morte di Gesù sulla croce, in questa parabola del vitello grasso, ci faccia sentire la gioia del perdono divino, ma anche la gioia del ritrovarci come fratelli e sorelle senza più barriere di separazione tra giusti e peccatori, tra buoni e cattivi.