Omelia (14-04-2019)
diac. Vito Calella
Perdono come ospitalità del male, comunione come vittoria sul male

In che senso la passione e morte di Gesù era già stata preannunciata nelle Sacre Scritture?
Tutta la drammatica storia dell'arresto, della persecuzione, delle sofferenze e della morte per crocifissione di Gesù doveva compiersi per forza?
Quell'evento tragico, che oggi vogliamo custodire nel cuore e nella mente, era già stato annunciato dagli autori sacri dei libri dell'Antico Testamento, prima che tutto avvenisse. Ma cosa vuol dire?
Dire che tutto era già stato predetto dalle Sacre Scritture, non è pensare che si tratti di una storia dove è annullata la libertà di tutti i personaggi che vi hanno fatto parte.
Due cose sicure, predette nelle Sacre Scritture.
Gli autori delle Sacre Scritture, ispirate dallo Spirito Santo, avevano predetto due cose sicure e immutabili, nel rispetto profondo della libertà di ognuno, a cominciare da quella di Gesù, per poi considerare quella di Giuda, di Pietro, degli altri discepoli, dei capi della religione giudaica, delle autorità politiche, del popolo presente a quell'esecuzione pubblica.
La prima cosa è la scelta libera da parte di Dio a mantenersi fedele all'alleanza con il popolo, nonostante le sue infedeltà. Alla luce dell'evento dell'incarnazione del Figlio e della sua morte e risurrezione possiamo dire che la prima cosa sicura e immutabile è il desiderio o progetto di comunione da parte del Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo, con ciascuno di noi e con tutta l'opera della creazione. Siamo per sempre predestinati ad avere la dignità di essere figli di Dio, figli amati del Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. E questa proposta di comunione rimane una porta aperta per ciascuno di noi fino all'ultimo istante della nostra vita, anche quando l'esistenza potrebbe sembrare irrimediabilmente bruciata, senza più frutti buoni da offrire. Il racconto del malfattore crocifisso, accolto da Gesù negli ultimi istanti della sua esistenza, è un segno chiaro.
La seconda cosa sicura e immutabile è la libertà di ciascun essere umano, il quale si trova nella costante lotta di dover scegliere tra questo desiderio / progetto di comunione di Dio e il desiderio / progetto di autorealizzazione individuale.
La seconda cosa sicura ed immutabile, detta in altre parole, è la possibilità, sperimentata ad ogni istante della nostra vita, di poter liberamente scegliere tra due possibilità: seguire la via satanica /diabolica del «salvare se stessi», diventando protagonisti da soli della propria esistenza, ma assumendosene tutta la responsabilità individuale per i conflitti e le separazioni che causate tra gli altri, in nome della difesa o affermazione del nostro "io". Oppure si può scegliere la seconda opzione: seguire la via unitiva dell'«affidare al Padre la propria esistenza» stando dentro il caos delle separazioni, delle ingiustizie, dei conflitti e della fragilità umana, rimanendo cioè inchiodati alla propria croce, come la "resa" di Gesù; accettando cioè di morire senza pretendere di vedere immediatamente risultati positivi.
Si, perché la nostra vita individuale è un intreccio tra queste due opzioni.
Ora ci difendiamo o ci affermiamo nei confronti degli altri e del mondo, facendo scelte che ci soddisfano personalmente, ma tendono a generare relazioni separative (essere satanici o diabolici vuol dire contrapporsi, dividere).
Ora ci spendiamo per gli altri con gesti di gratuità e di solidarietà, dimenticandoci di noi stessi. Allora generiamo relazioni di amicizia, facciamo unità.
Ma, senza l'affidamento della nostra esistenza a Dio nostro Padre, tendono a prevalere le scelte egoistiche su quelle altruistiche.
Il male che provochiamo difendendo i nostri interessi personali o affermando noi stessi contro gli altri si intreccia con gli effetti negativi delle scelte egoistiche di tutta l'umanità creando un sistema malvagio, satanico o diabolico, che ritorna su di noi come un bumerang e ci condiziona profondamente, mettendoci in croce. Le ingiustizie, le malattie, le guerre, le situazioni disumane, i disastri ecologici sono anche il risultato dell'associazione delle responsabilità individuali intrecciate con quelle di tutta l'umanità. Nel loro insieme, questo sistema satanico e diabolico di contrapposizioni e divisioni, generato anche dalle nostre scelte egoistiche, potrebbe essere definito "eredità sperperata del Padre", o "soffocamento del dono dello Spirito Santo", perché il desiderio / progetto del Padre è l'unità / comunione in Cristo di tutta l'umanità e di tutta la creazione.
Nulla è perduto!
Nel racconto della passione sembra contemplare tutta la forza distruttrice del sistema satanico del male, che opprime il bene, di cui Gesù ne è l'esempio più bello.
È tutto perduto con la morte di Gesù un croce?
Dobbiamo decretare la vittoria dell'egoismo umano nel mondo?
Nulla è perduto per sempre per la fedeltà di Dio alla sua alleanza con noi. Rimane sempre dentro di noi un residuo di eredità non sperperabile fino all'ultimo istante della nostra vita. Rimane dentro di noi quel punto di luce che sono le parole di perdono pronunciate da Gesù su tutti i personaggi, a partire da Giuda, il primo ad essere impossessato di spirito satanico.
Il pianto amaro del rinnegamento di Pietro non è la fine di tutto.
Il battersi in petto della folla che se ne va, è un segno di speranza.
La confessione del centurione romano riaccende di luce il cuore dei persecutori pagani.
Il coraggio di Giuseppe di Arimatea, esponente del sinedrio, cioè dei capi che fecero di tutto per mandare a morte Gesù, è un segno di luce: fu lui a dare le onoranze funebri al corpo senza vita di Gesù, deposto dalla croce.
Questo residuo di eredità è la nostra dignità di figli amati del Padre.
Il racconto della passione ci fa contemplare il Figlio del Padre che sa essere "figlio" nell'ora in cui deve affrontare il potere delle tenebre, deve subire le forze del male, la grande tentazione umana e satanica del pensare a salvare se stesso, nell'ora in cui il Padre deve stare assente per rispettare la libertà dell'umanità assunta dal Figlio.
Gesù sceglie liberamente di rimanere Figlio unito al Padre solo con la preghiera.
Ha fatto di tutta la vicenda della sua passione un'esperienza di preghiera, intrisa di ricordi e riferimenti alla Parola di Dio attestata nelle Sacre Scritture dei profeti e dei salmi.
Gesù nella sua passione e crocifissione ci insegna che l'unica via per fortificare in noi la scelta di libertà dell'affidamento della nostra vita al Padre contro quella del salvare noi stessi, confidando esclusivamente nelle nostre forze umane, è la via della preghiera.
Guardiamo a lui nell'ora della prova, dell'ultima tentazione satanica, e impariamo a pregare!
L'ospitalità del male scelta da Gesù nella sua preghiera nel Getsemani.
Nell'ora della prova la preghiera di Gesù si fa lotta e sudore di sangue, cioè capacità di ospitare in sé non solo la fragilità del corpo umano, ma anche la durezza del sistema ingiusto di male che lo condurrà a morire così violentemente. L'atto di perdono di Gesù è avvenuto con la sua agonia nel monte degli Ulivi, quando ha ospitato in sé, nella sua corporeità vivente tutto il peso e il dramma delle sofferenze che avrebbe subito ingiustamente. «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice. Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42)
La nostra preghiera di lotta diventa, come Gesù, uno starci dentro alle nostre fragilità e alle situazioni di sofferenza e di ingiustizia, di male e di non senso che ci opprimono e soffocano la nostra dignità di figli amati del Padre. Starci dentro, ospitare, affrontare accogliendo senza ribellarsi e senza vendicarsi. Il primo grande atto del perdono è ospitare in noi, senza dimenticare, il male subito: esperienza durissima, agonia, calice amaro, scelta dolorosissima di libertà. La pesantissima sensazione di essere abbandonati da Dio, il macigno della assenza o silenzio del Padre nell'ora in cui si sperimenta sulla pelle tutta la forza del male diventi preghiera, come fu quella di Gesù attestata nei vangeli di Matteo e di Marco, usando le parole del salmo 22,2: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,33)
L'ospitalità del male richiesta da Gesù al Padre.
La preghiera di Gesù diventa allora richiesta di ospitalità in Dio Padre di tutta quella carica di negatività che lui ha saputo accogliere, assumere, sopportare, ospitare, in quanto servo sofferente, nell'ora in cui «ha consegnato se stesso alla morte, è stato annoverato tra gli empi, mentre portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori» (Is 53,12b)
È la richiesta del perdono: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34a).
Gesù chiedeva al Padre di ospitare non solo tutta la malvagità accanitasi contro di lui su quella croce, simbolo del male del mondo, ma anche la sua stessa solitudine, la sua stessa incapacità di affrontare da solo quello starci dentro al non senso del suo essere crocifisso. Gesù chiedeva al Padre di esserci nel male del mondo, come lui lo era, stando inchiodato alla croce. Quel Padre che sembrava così assente nel dramma dell'ingiustizia di quella croce, soffriva col Figlio di fronte al potere del male che opprime il giusto.
La vittoria sul male per la forza della comunione tra il Padre e il Figlio, non infranta dalla morte di croce.
Dove sta la vittoria? Gesù crocifisso la visse e la pregò citando il salmo 31: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 45). La vittoria dell'amore sulle forze negative del male cominciava nell'atto di abbandono di Gesù alla certezza della sua comunione con il Padre: esalava l'ultimo respiro umano affidando tutto se stesso, tutta la sua vita, ormai ridotta al nulla dell'impotenza, alla certezza della comunione con Padre. Quella morte in croce non ruppe la comunione con il Padre. Quell'eterna comunione tra Padre e Figlio, che è lo Spirito Santo, aveva resistito nell'ospitalità dolorosa vissuta da Gesù e dal Padre di accogliere il male dell'umanità e diventava, a partire dalla morte di croce, la forza vitale che sconfigge la morte e decreta la vittoria dell'amore unitivo su ogni forza disgregativa e satanica di male che continua ad affliggere il mondo.