Omelia (18-04-2019)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Giuseppe Di Stefano

Il brano di questo Giovedì Santo dell'evangelista Giovanni è talmente conosciuto e chiaro da non saperne più ricavare sottolineature particolari in grado di alimentare la nostra anima.
Purtuttavia qualcosa va pure meditato, proprio in ragione del fatto che il "giovedì santo" di quest'anno non è la mera ripetizione di quelli degli anni precedenti, ma va vissuto, nella sua puntuale collocazione del "qui ed ora", nella sua "particolarità".
C'è sempre qualcosa di "particolare" infatti che si nasconde del "qui ed ora" (presente) del già vissuto o conosciuto.
Questo è il segreto nascosto nel "presente", come si legge nel libro "Le lettere di Berlicche": "Il presente è l'unico punto di contatto tra l'Eternità e il Tempo".
Vivere il "qui ed ora" (il giovedì santo di oggi) nonostante le preoccupazioni e le ansie per il futuro (e magari i rimpianti per un passato con il quale non si è ancora fatto pace) potrebbe rappresentare il primo spunto di riflessione suggerito dal brano di oggi.
Uno spunto di riflessione del quale l'uomo d'oggi (angosciato e dibattuto tra preoccupazioni e paure) dovrebbe non poter più fare a meno ("Venite a me voi tutti che siete stanche e angosciati e IO vi ristorerò").
Come ha fatto proprio Gesù quel giovedì. Nonostante l'angoscia che bruciava la sua anima "sapendo che era venuta la sua ora per passare da questo mondo al Padre" si prepara con calma al rito della lavanda dei piedi dei suoi intimi.
A voler ben osservare e tenendo conto di tutte le regole civili di buona creanza, questa "uscita estemporanea" di voler lavare i piedi nel contesto di una cena non risulta certo di buon gusto.
Ma Egli insiste fino a provocare la reazione risentita e focosa di Pietro, subito smorzata però dalla tremenda minaccia: se non ti fai lavare i piedi da Me, con me hai chiuso!
Ma è proprio questa "strana" maniera di agire sotto il peso delle "angosce" che lo schiacciavano ad insegnare a noi, oggi, a fare come Lui, a tenere dritta la barra della fiducia, certi che, in barba a tutte le nostre angosce, il futuro è al sicuro (... "sapendo che da Dio era uscito e che a Dio ritornava"...).
L'altro spunto di riflessione mi conduce sul versante della sacramentalità del gesto di Gesù.
Mi chiedo, cioè, se non si possa pensare alla "carità" (intesa in senso lato come "azione" di servizio operata esclusivamente per la causa del Regno di Dio) come ad un "ottavo sacramento".
E' sotto gli occhi di tutti infatti che in questo santo giorno di giovedì la parte del leone la faccia (giustamente) l'istituzione del Sacramento dell'Eucaristia (fons et culmen); ma è altresì chiaro che la "lavanda dei piedi" non può passare inosservata proprio perché collocata nella medesima situazione.
A cosa può portare tale accostamento di un "sacramento" ad un "quasi sacramento"?
Semplicemente a farci ricordare che senza nutrimento eucaristico viene devitalizzata la medesima carità... e che il solo nutrimento eucaristico senza l'operatività fraterna caritatevole può somigliare, purtroppo, ad un intimismo egocentrico che poco ha a che fare con la vera "intimità con Dio".
"Ogni incontro con Dio è preghiera, non ogni preghiera è incontro con Dio", ammonisce un antico aforisma.
Che l'amor di Dio e l'amor fraterno vadano a braccetto è un dato certo... da quel giovedì!