Omelia (28-04-2019)
don Maurizio Prandi
Nonostante tutto... pace a voi!

Trovo bello che il cammino comunitario, nelle sue forme più diverse arricchisca il significato e l'interpretazione di una pagina di vangelo così bella come quella che abbiamo appena finito di ascoltare.

Sono i giovani del vicariato che hanno partecipato alla convivenza di Breccanecca ad aiutarci a fare qualche passo a partire dal titolo che abbiamo dato a questa nuova (per noi), esperienza:...Pace a voi!

Abbiamo messo dei puntini davanti all'annuncio di pace di Gesù e abbiamo provato a scrivere cosa avremmo scritto noi prima di quelle parole. Qual è la radice della pace? Il suo fondamento? È stato bello immaginare allora che la giustizia, il non fermarsi, la diversità, la felicità, la gioia, l'amicizia, il pensare agli altri potessero essere la radice, la base su cui costruire la pace. Abbiamo percepito così questi giorni: come un momento anche di stacco a allo stesso tempo uno stare insieme dove abbiamo capito che le nostre diversità sono una ricchezza; siamo stati insieme ed insieme ci siamo aiutati a vivere seriamente e non superficialmente questi giorni. Legavo proprio alla prima lettura questa esperienza: tutti erano soliti stare insieme


Una cosa importante la diceva Francesco: secondo me, di fronte alle parole: Pace a voi, ci starebbe bene un bel nonostante tutto.... Mi pare esplicativo della pazienza che Gesù esercita nei confronti dei suoi discepoli; nonostante tutto, nonostante: i vostri abbandoni, i vostri tradimenti, rinnegamenti, incomprensioni, presunzioni, distrazioni, fughe, paure... nonostante tutto, pace a voi!


È molto bella la vicenda di Tommaso, ci aiuta a porre il tema della comunità e dell'importanza fondamentale della comunità. E' vero che Tommaso è coraggioso, era l'unico che mancava, un manipolo di paurosi, di pavidi eccetto Tommaso che esce e che giustamente, quando ritorna non crede: scusate ma se voi non avete creduto alle donne che vi hanno dato loro per prime l'annuncio della risurrezione, perché io dovrei credere a voi? Perché Tommaso non crede? C'è un particolare che forse sfugge, è buttato lì da chi ha scritto il vangelo ma è importantissimo: Tommaso non era con loro. Lui, detto Didimo, ovvero gemello; il gemello è colui che ha un legame unico con qualcuno e forse, (mi affascina questa idea), è gemello un po' di tutti i discepol: ha la testardaggine di Pietro, l'ambizione di Giacomo e Giovanni, l'ardore di Simone lo Zelota, forse la sua personalità le racchiude un po' tutte eppure, non era con loro! Il gemello non sta con i suoi fratelli. È uscito da solo ma è impossibile trovare Gesù da soli, è necessario stare insieme, cercare insieme per trovare il Signore Gesù. Tommaso per trovare il Risorto dovrà stare con i suoi fratelli. Questa è la condizione unica ed imprescindibile.

Anche nella vita dei santi più individualisti, il dato della fraternità e della comunione rimane imprescindibile.


Otto giorni dopo finalmente c'era anche Tommaso; otto giorni dopo. Nell'ebraismo si conta il primo e l'ultimo giorno; ci sono alcuni che contano ancora così: quando ci vediamo? Da chi a oettu! (dialetto genovese). Otto giorni dopo, la settimana dopo, la domenica seguente, Tommaso incontra Gesù solo all'interno del rapporto con i suoi fratelli, e all'interno di questo rapporto con i suoi fratelli ci sono degli appuntamenti regolari. Inizia così la scansione che ci porta a celebrare ogni domenica questo appuntamento da vivere insieme. Nella chiesa dei primi cristiani questo appuntamento era qualcosa di essenziale, vitale.

La misericordia, che è la nostra salvezza, richiede di passare per la relazione: non esiste una esperienza individuale della fede, perché è impossibile amare Dio senza amare il prossimo, sono necessari i fratelli e ci sono degli appuntamenti nei quali il Signore si fa trovare. Pasqua si fa con i fratelli e negli appuntamenti che il Signore ha con la sua assemblea.


Una cosa importante sulle ferite e che ripeto un po' tutti gli anni, perdonatemi: il Risorto non fa nulla di straordinario per convincere i discepoli della sua identità ma molto semplicemente mostra i segni delle ferite. E queste ferite sono in strettissima relazione con il perdono dei peccati, Gesù mostra le ferite ed invita a perdonare. Qui capiamo che il perdono non è legato ad un potere giuridico, ma ad un corpo ferito, trafitto, quello di Gesù. Personalmente sono convinto che negare il perdono sia tradire quel corpo, tradire quelle ferite, non perdonare significa essere incapaci di leggere il racconto che il corpo di Gesù ci fa: ci parla di un amore vissuto fino alla fine e di uno Spirito che ha accompagnato tale amore fino a rendere le ferite, le ingiurie e la morte subita, occasione di ulteriore dono, di ulteriore amore. Anche di queste ferite abbiamo parlato con i giovanissimi, ma non solo; grazie al cielo non ci siamo limitati alle parole ma il pomeriggio passato con Marina e con i disabili del Benedetto Acquarone ci ha fatto toccare il corpo del risorto. Il corpo di Bobo, di Paolo, di Clara, della principessa, di Alessandra, di Michel... avessimo fatto solo belle parole avremmo tradito il corpo di Gesù, in questo modo, credo, lo abbiamo incontrato quel corpo.


Mi pare bellissimo che Tommaso abbia chiesto di quel corpo ferito, perché se non è quella carne a risorgere, tutto è vano:

- quella carne che non ha potuto amare senza essere ferita

- quell'impotenza umana che si consegna

- quella mitezza che viene offesa e oltraggiata da tutti ma che non indietreggia nemmeno di un millimetro

- quell'impotenza dei buoni che comunque non recedono dai loro principi


Sono queste le cose destinate a restare e restare per sempre, è questa la Resurrezione. Se ci sono processi da avviare nella chiesa, sono proprio questi e non quelli mossi dall'equivoco di una riscossa necessaria, di una rivincita che pare cosa buona e giusta, perché la Risurrezione non è né una rivincita, né una riscossa.