Omelia (12-05-2019)
don Luciano Cantini
Io do loro la vita eterna

Ascoltano la mia voce

Sentire non è lo stesso che ascoltare: l'ascolto è un atto volontario per cui si decide di prestare attenzione attraverso la sensibilità e l'intelligenza di cui siamo dotati. Di fatto ci muoviamo in una società che rende sempre più difficile la possibilità di ascoltare a causa dello stress, l'aggressività di troppe voci, la difficoltà di distinguere tra i messaggi, il rumore in cui siamo costantemente immersi, la frenesia e la fretta, il bisogno di isolamento dalla realtà esterna, pensiamo a quanti in strada camminano con gli auricolari e smartphone immersi in tutt'altro. Per ascoltare davvero occorre tempo, interesse, partecipazione, condivisione...

La fede nasce dall'ascolto (Rm 10,17). Non a caso il testo che esprime la fede ebraica dice: «Shema' Ysrael, Adonai Eloheinu, Adonai echad»: Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno (Dt 6,4). Così come l'ascoltare fonda l'appartenenza al popolo d'Israele, chi ascolta il Signore è pecora che appartiene al suo gregge. L'ascolto non è per sapere o conoscere, ma per credere in colui che può guidare la nostra vita. Non abbiamo bisogno solo di principi, dottrine, filosofie, pensieri quanto di esperienze, atteggiamenti che ci permettano di dare un senso alla nostra vita, per questo l'ascolto impegna tutto il nostro essere, tutte le facoltà comunicative e non solo l'udito.


Io do loro la vita eterna

«In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna» (Gv 5,24; 6,47). Ascoltare, conoscere e seguire il Signore è ricevere la vita eterna adesso, non alla fine del tempo, non come prolungamento senza fine di questa nostra vita, ma come pienezza della vita, diventata incorruttibile alla morte perché fondata sulla relazione con lui. La morte chiude l'esperienza storica ma non interrompe la vita, anzi, le permette di fiorire in modo nuovo, completo, definitivo. La vita eterna non è tra le categorie dei futuribili, ma una realtà che appartiene al presente.

Fa bene immergersi, respirare queste parole: Io do loro la vita eterna! Senza condizioni, prima di qualsiasi nostra risposta, senza paletti e confini. La vita di Dio è data, donata a ciascuno di noi come un seme potente destinato a crescere, come un fuoco che fa ardere d'amore. Come linfa' che senza stancarsi, giorno e notte, raggiunge tutti i tralci perché portino frutto. L'esperienza di Cristo, vissuta con Lui e per Lui è così vita piena di verità, bellezza, profondità che merita di non morire, ha la pienezza, la qualità e la consistenza capaci di attraversare l'eternità.


Dalla mano del Padre

Giovanni fa presente qual è il ruolo di ciascuno: i credenti ascoltano la voce di Gesù e lo seguono; Gesù, dal canto suo, conosce quelli che gli sono stati affidati uno per uno e dona loro la vita eterna; il Padre, da parte sua, affida coloro che credono alla cura di Gesù in modo che non vadano persi in mani altrui. Appartenere a Cristo è l'identità di coloro che credono.

Ci sono aspirazioni e desideri di altre identità a partire da motivi territoriali, etnici o religiosi, senza pensare quanto questi ci "strappano" dalla mano del Signore. Abbiamo l'illusione che siano la nostra ricchezza invece di impoveriscono perché creano divisioni, incomprensioni, rivalità: sono opera di colui che divide (diaballon, il diavolo). La cronaca di questi giorni è testimone di quanta protesta, rabbia e violenza siano portatrici.

Appartenere alla mano di Cristo non è abbandono della propria identità etnica, nazionale o culturale, piuttosto il loro superamento. Cosa dà senso di identità al credente? non certo una terra per cui fare guerre, o una religione per dare sfogo ai propri integralismi, neppure una cultura per discriminare le minoranze. In verità, l'identità del credente è data dalla sua appartenenza a Gesù e dalla sua capacità di riconoscere la voce del suo Signore. Gesù è il Messia di chiunque si affida a lui.

Chi ci separerà dall'amore di Cristo? (Rm 8,35)