Omelia (02-06-2019) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Tempo della fede e tempo della Chiesa Dopo l'umiliazione, la morte di croce. Dopo questa, la resurrezione e la glorificazione che era stata preannunciata da una voce dal cielo (Gv 12, 29). In queste pagine siamo invitati a considerare invece come Gesù si avvia all'acme della sua gloria e del suo innalzamento completo: viene esaltato e innalzato al di sopra di tutte le creature, "perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami Che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre" (Fil 2, 11). Viene rivestito di gloria e assume elevatezza nella misura in cui era stato umiliato, frustrato e sottomesso. Dio innalza il proprio Figlio nella gloria suprema soprattutto per mezzo di questo fenomeno per il quale questi si sottrae alla percezione sensoriale e all'esperienza comune dell'umano e recupera la dimensione pura del divino, mistero che noi chiamiamo Ascensione e che è necessario perché Gesù si configuri pienamente con il Padre. Poco tempo prima Gesù aveva detto agli apostoli, sbigottiti e preoccupati, che sarebbe tornato al Padre e il suo commento era stato: "Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me."(Gv 14, 28), ovviamente dicendo che va al Padre in quanto uomo. In quanto lui è anche Dio, invece, con il Padre vive una comunione profonda e una relazione di parità e di uguaglianza, perché Gesù e il Padre sono una cosa sola (Gv 10, 30). Nell'uno e nell'altro caso, che Gesù torni al Padre è motivo di gioia e di contentezza per tutti, perché in ogni caso la sua glorificazione si compie definitivamente. Con l'ascensione al Cielo, Gesù, vero Dio e vero Uomo, torna al Padre in quanto ritorna nella sfera pura del divino e dell'ineffabile. La descrizione che Luca delinea nel suo brano evangelico e che prosegue nel suo secondo scritto, il libro degli Atti, ha del fascinoso e assume connotati di vivacità spettacolare, ma il senso reale di tutte le descrizioni riportate è quello di un evento unico e straordinario: Cristo, una volta risorto e più volte manifesto nella gloria del suo corpo glorificato, non è più soggetto alle intemperie e alle caducità di questo mondo e non assume più caratteri di vulnerabilità e di insufficienza come prima della sua crocifissione. E' vittorioso e indomito sulla caducità terrena e sulla morte, non è sottomesso alle restrizioni temporali e non è succube delle vicende umane che assillano tutti, ma domina ormai il cosmo e ha ragione della morte; proprio questo suo "tornare al Padre" con l'ascensione qualifica e manifesta ulteriormente questo suo nuovo stato di gloria e di superiorità: no soltanto è risuscitato e domina sul mare e sulla morte, ma la morte gli si sottomette e con essa tutte le caducità terrente. Ascende al Cielo perché in effetti è Dio e in quanto tale sovrasta il mondo e dimostra di non esserne soggiogato In quanto Uomo dimostra di aver conquistato il premio della sua continua perseveranza nell'umiliazione, nella prova e nel dolore, ai quali consegue semplicemente la vittoria e la gloria indiscussa.. Scompare alla percezione e all'esperienza sensibile e il tatto e l'udito non permetteranno più l'esperienza diretta della sua presenza, perché in forza della sua gloria abbandona la dimensione del quotidiano per assumere quella dell'eternità. Con l'ascensione al Cielo non assistiamo quindi a un episodio di pura ostentazione di eroismo o di superpoteri propri della mitologia o della letteratura fantascientifica, ma alla manifestazione estrema della gloria, al suo innalzamento e alla sua elevazione alla dignità che gli è propria di Figlio di Dio, unito eternamente al Padre nel vincolo dello Spirito Santo. Tutto questo però non significa che Gesù decida di estraniarsi dalla nostra esperienza e di vivere la sua affermata superiorità divina a prescindere da noi. Proprio perché continua ad essere vero Dio e vero Uomo ci da tutte le possibilità di esperire che la sua presenza in mezzo a noi è cosa certa, anche se da cogliersi in una forma differente. Secondo la sua stessa promessa, Gesù sarà con noi "tutti i giorni fino alla fine del mondo"(Mt 28, 20) anche se non saranno più i sensi a farcene ravvisare la presenza. Gli apostoli se ne rendono conto una volta superato lo sgomento nell'assistere alla sua dipartita; noi ce ne rendiamo conto nella stessa realtà del quotidiano attraverso "gli occhi della fede" che motiva la speranza e ci dona ragioni di consolazione per il fatto che non siamo soli, perché lui è con noi tutti i giorni. Non possiamo pretendere di avvertire che Gesù è con noi così come avvertiamo colui al quale stringiamo la mano o di cui sentiamo la voce, ma quella del credere, dell'accogliere e dell'accettare quanto non ci è possibile toccare con mano (quindi appunto la fede) è per noi l'unica dimostrazione convincente. La fede è la vera prova che tutto ciò che è umanamente impossibile, tale non è per Dio ed è l'unico espediente con il quale possiamo prescindere dall'apparenza per giungere alla verità, comprendendo che la verità ci è stata donata.. La fede è la via di accesso a ciò che è vero e suggerisce che tante volte il cuore vuole le sue ragioni e che la ragione esige di aggrapparsi a ciò che resta un mistero insondabile. In parole povere la fede è la risorsa che ci consente di guardare oltre l'apparenza per cogliere la presenza di Gesù Cristo come il "Dio con noi" che pur non mostrandosi al tatto si rende manifesto con la sua guida e con il suo sostegno continuo. Siamo chiamati a riconoscere Gesù nella stessa esperienza di vita quotidiana, nelle nostre vicende liete e tristi, nel dinamismo delle nostre azioni e nella profondità dell'intimità con lui nella preghiera e nella vita spirituale. In questo tempo che consegue all'Ascensione siamo invitati a riscontrare Gesù dove lui ha maggiormente promesso di essere inequivocabilmente presente, cioè nella comunione reciproca realizzata nel suo nome, come pure in ogni atto di solidarietà fra di noi e ancora nel fratello vicino fino al più lontano e al bisognoso, amando il quale si è certi di amare Dio che non vediamo (1Gv 4, 19). Solo la fede può costituire una risorsa talmente grande da far sì che il nostro Redentore non ci sia estraneo, dandoci la consolazione nella certezza di non trovarci soli e di avere sempre nuovi slanci motivazionali che ci protraggano in avanti. Non che la ragione o la speculazione astratta non debbano avere la loro rilevanza anche sotto questo aspetto: l'intelletto e il raziocinio contribuiscono ad elevare l'uomo e a rafforzare lo spirito e sono oltretutto elementi di supporto ai contenuti della fede stessa. La ragione offre anche opportunità di critica partecipativa e di formazione umana necessaria alla vita del credente, tuttavia non devono essere così debordanti da ostruire la possibilità dell'accoglienza libera e disinvolta del mistero e l'abbandono totale ad esso. Con l'Ascensione di Gesù al Cielo inizia il "tempo della Chiesa", nel quale Gesù stesso, in forza dello Spirito continua ad estendere la sua opera di salvezza a tutti i popoli e a tutte le nazioni nel ministero degli apostoli e dei loro successori; ci rende suoi collaboratori instancabili accordandoci sempre fiducia nella nostra opera di battezzati e di testimoni della sua Parola. E di fatto partendo da Gerusalemme i suoi discepoli non cesseranno di rendergli testimonianza, facendo essi stessi esperienza che Cristo risorto vive sempre con loro e che al contempo chiama tutti alla salvezza e alla vita, realizzando così in ogni tempo che il suo essere Asceso non segna affatto il tempo della fine, ma l'inizio di un rinnovato percorso che facendoci apprezzare il presente ci predispone al futuro. Camminando con i piedi per terra e con lo sguardo rivolto verso il Cielo. |