Omelia (15-08-2019) |
don Alberto Brignoli |
La Donna e il drago In una festa come quella di oggi - che, di fatto, è la festa più importante della Vergine Maria, in quanto celebriamo la sua nascita al cielo, come facciamo con i santi che veneriamo nel giorno della loro morte - risulta fin troppo semplice, se non addirittura semplicistico, interpretare il brano di Apocalisse che abbiamo ascoltato in chiave esclusivamente o principalmente mariana; ossia, identificare la "donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle" con la Vergine Maria. Non che ciò sia errato, anzi: soprattutto dal punto di vista liturgico-spirituale, possiamo dire che questa sia l'immagine più bella e più facilmente rappresentabile della dimensione gloriosa di Maria, che da sempre abbiamo imparato a contemplare e a venerare così, quando pensiamo a lei come l'Immacolata Assunta in cielo. Ma è difficile poter credere che l'autore di Apocalisse, che si rifà alla testimonianza dell'apostolo Giovanni, pensasse con questa immagine di poter rappresentare direttamente la Madre di Dio nella sua dimensione gloriosa. Nonostante, infatti, si tratti di un libro che usa immagini forti e reboanti tipiche delle realtà "ultime" (o come si dice, "escatologiche"), la dimensione storica fa da filo conduttore a tutta la narrazione, in modo particolare descrivendo la situazione di persecuzione in cui versava la Chiesa dei primissimi decenni, subito dopo la morte dei Dodici. Nella vicenda descritta dalla prima lettura, quindi, la lotta tra il drago e la donna vestita di sole che deve partorire un figlio "destinato a governare tutte le nazioni" è la narrazione simbolica della lotta che la Chiesa, vestita di sole perché illuminata dalla resurrezione di Gesù, deve affrontare con il "drago rosso", forse l'impero romano (non a caso, sette teste e sette diademi richiamano i colli e i re della storia di Roma), un impero colorato dal sangue delle stragi che ogni impero, in ogni epoca e in ogni dove, commette per costruire e giustificare il proprio potere. Un impero che, per quanto sanguinario e pronto a divorare ciò che la comunità dei credenti sta per partorire pur nella persecuzione (ovvero nuovi credenti), non riuscirà nel suo intento, perché i figli della Chiesa appartengono a Dio, e nel cuore di Dio sono rapiti e conservati. E questo perché essi sono figli di una donna che, oltre a essere vestita di sole, è coronata di dodici stelle (l'Antico ma anche il Nuovo Testamento, l'Antico e il Nuovo Israele), e soprattutto ha la luna sotto i suoi piedi, perché la luce di Cristo sole di verità di cui essa è rivestita è più forte e di gran lunga superiore ai pallidi raggi riflessi della luna, ossia di quella sapienza umana basata sul culto della persona dell'imperatore o del potente di turno tipica delle religioni pagane, che pur essendo suggestiva quanto la luna, non è regina se non della notte. E come se non bastasse, la donna simbolo della Chiesa è salvata, in questa sua lotta contro il potere del male, da un rapimento, o meglio da una fuga nel deserto, che sempre nella Bibbia è il luogo privilegiato dell'incontro con Dio, nel quale si rifugiano e trovano la loro forza i grandi profeti e i grandi uomini di Dio, da Mosè a Elia, da Giovanni Battista allo stesso Signore, all'inizio della sua missione. Uscendo dalla simbologia, la storia della Chiesa in ogni epoca e in ogni luogo, è stata, è, e sarà una storia di lotta contro il male, contro l'ingiustizia, contro l'oppressione, contro la menzogna, nella quale - anche se il male sembra mettere paura perché ha delle manifestazioni terribili di fronte alle quali ci spaventiamo, rimanendo sconcertati, e gli esempi in questo si sprecano - l'ultima parola è una parola di speranza, perché i figli partoriti da questa Chiesa sofferente e messa alla prova sono destinati alla vita, e la Chiesa può ritrovare se stessa non intestardendosi a voler distruggere il drago del male, ma cercando il proprio spazio di deserto rifugiandosi in Dio come sua unica speranza. Ecco, speranza: è la parola che fa da sfondo, da leitmotiv in questa liturgia solenne di mezza estate nella quale, forse mentalmente più liberi che in altri momenti dell'anno, possiamo ritrovare forza nella nostra fatica quotidiana guardando a questa Donna, che è la Chiesa, di cui Maria non è solo il simbolo, ma è Madre e figlia prediletta al tempo stesso, e che nonostante le vicende storiche attraverso cui è passata e passerà, è sempre qui a testimoniare la forza della vita e la speranza che deve pervadere ogni nostra attività. Terminerà anche l'estate; termineranno anche i meritati e tanto agognati momenti di riposo, pochi o lunghi che siano, e che dobbiamo sfruttare fino in fondo senza - permettetemi la figura retorica - stancarci di riposare; termineranno gli spazi di deserto che auguro a ognuno di ritrovare, soprattutto in questi periodi dell'anno. Ma resterà la speranza di una vita che va avanti, che è più forte anche della morte (l'ultimo nemico a essere annientato, ci ha detto Paolo), e che ci riserva comunque sempre un destino glorioso e felice, nel quale contempliamo già presente "l'Immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria che terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo". Così stabilì, nella definizione del dogma dell'Assunzione di Maria del 1° novembre 1950, papa Pio XII, che, insieme, diede almeno tre motivazioni perché questa scelta divenisse imprescindibile professione della nostra fede: per dare maggior valore e dignità alla vita umana attraverso il compimento della volontà di Dio e il bene donato agli altri; per ribadire un destino di gloria a cui anche il nostro corpo è chiamato, ben oltre le facili scappatoie del materialismo e del qualunquismo; per rafforzare la nostra fede e la nostra speranza nella resurrezione, al di là di ogni tentativo di cadere nella disperazione. Un dogma quasi settantenne, ma ancora pieno di vitalità! |