Omelia (02-11-2019)
don Lucio D'Abbraccio
Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno

Dopo aver contemplato nella solennità di ieri la gloria di tutti i santi e la Gerusalemme celeste, oggi siamo invitati dalla chiesa a fare memoria dei morti, a pregare per tutti coloro che hanno camminato prima di noi, che ci hanno anche accompagnato, ci hanno dato la vita e ci hanno lasciato.
Nella prima Lettura abbiamo ascoltato il racconto di Giobbe, uomo timorato di Dio, sul quale si scatena tanta sofferenza. Quante volte capita di sentire, attraverso i telegiornali, notizie di guerra, di violenza, di fame, di morte e quante volte dentro di noi ci poniamo la domanda: "ma perché Dio permette tanto dolore, tanta sofferenza?". A questa nostra domanda risponde Giobbe il quale smonta anzitutto l'idea del dolore come conseguenza della punizione divina per colpe compiute dall'uomo. Dio non punisce, non usa malattia, dolore, morte per vendicarsi del nostro peccato. Questo non è il nostro Dio, il Dio della rivelazione biblica. Dio è Amore! Giobbe, abbiamo ascoltato, non spiega il dolore, ma lo vive nella compagnia e nella fiducia di quel Dio - che prima o poi verrà in aiuto del suo fedele - che lo rende partecipe di un disegno più grande e che ha il suo compimento nella visione piena e totale del Padre dopo, scrive l'autore sacro, «che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro». Sì, un giorno anche noi contempleremo il Signore e «lo vedremo così come egli è» (cf 1Gv 3, 2).
Nel salmo 26, infatti, il salmista esprime tutta la sua fiducia nell'intervento salvifico del Signore che non abbandona chi confida in lui ed esaudirà l'ardente desiderio di ogni fedele di contemplare il suo volto e la sua bontà nella terra dei viventi.
Il cristiano, dunque, deve avere piena fiducia nell'amore gratuito di Dio Padre che ha mandato nel mondo il suo unigenito Figlio il quale è morto per ognuno di noi, mentre eravamo ancora immersi nei nostri peccati. San Paolo, infatti, scrive: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (II Lettura). A maggior ragione, continua l'apostolo delle genti, ora che siamo suoi figli grazie al sacrificio di Gesù, che ci ha giustificati nel suo sangue, l'Onnipotente ci salverà e ci donerà la vita eterna per mezzo del suo amatissimo Figlio.
Ed infine, nel brano del vangelo di Giovanni, si parla della risurrezione. La risurrezione è la promessa che Gesù fa agli uomini, a coloro che Dio gli ha dato: in questo modo egli ci aiuta a vincere la paura della morte e del giudizio, quell'evento in cui ciascuno di noi starà davanti a Dio per rendere conto delle proprie azioni (cf Ap 20, 12). «Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori», dice Gesù. Il cristiano è colui che va al Figlio ogni giorno, anche se questo suo movimento è contraddetto da tante cadute; il cristiano si allontana e ritorna, si ribella e si converte, si rialza dal peccato per riprendere la sequela del suo Signore. Ebbene, il Signore «non lo respinge, ma lo risuscita nell'ultimo giorno»; abbracciandolo nel suo amore, gli dona la remissione dei peccati e lo conduce definitivamente alla vita eterna, e agisce così perché ha assunto in profondità la volontà di Dio: «Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo resusciterò nell'ultimo giorno».
Per l'evangelista Giovanni credere in Gesù, Figlio di Dio fatto carne e rivelatore dell'amore del Padre, è l'unica via di accesso alla vita eterna. Ma cosa significa credere in Gesù? Credere in Cristo Signore non è un fatto intellettuale o di parole, è invece adesione alla sua persona, sequela, ascolto vitale della sua parola e realizzazione del suo «comandamento» di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati (cf Gv 13, 34). Credere in Gesù, dunque, significa vivere ogni giorno quell'amore che lui stesso ha vissuto in modo pieno verso Dio e i nostri fratelli.
A chi crede in lui il Signore assicura la risurrezione e la vita eterna nella casa del Padre. A conferma di questa sua promessa egli, facendo la volontà del Padre suo e Padre nostro, si lascerà innalzare da terra, per attirare tutti a sé (cf Gv 12, 32-33). Però, una volta risorto e asceso al cielo, «preparerà un posto, per ciascuno di noi, nella casa di suo Padre, dove vi sono molte dimore» (cf Gv 14, 2-3).