Omelia (25-12-2019) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Giovanni 1,1-18 "Natale" è una di quelle parole che, la tradizione, religiosa e non, ha paradossalmente deprivato del suo primitivo significato, un significato tanto primitivo, quanto naturale, per conferirne uno marcatamente cronologico; tanto per intenderci, da calendario. Intendiamoci, non sto criticando l'altissimo valore morale del Natale; vorrei tuttavia ‘rilanciare' il contenuto teologico e spirituale di questa solennità. Del resto, siamo in chiesa, e, almeno qui, in chiesa, facciamo il possibile per limitare il danno che l'economia, la pubblicità, certa morale pseudocattolica, e un devozionismo più emotivo che religioso hanno recato al mistero dell'Incarnazione. E proprio per limitare il danno, il Vangelo di oggi non propone la scena di Betlemme, ma il capitolo primo del Vangelo di Giovanni, conosciuto come Prologo. Nessuna indulgenza all'immaginario collettivo, nessuna licenza poetica, nessuno spazio al buonismo di circostanza,...Giovanni è un teologo e il "suo" Vangelo non è una storia; così come quello di Marco, il quarto Evangelo si apre con l'immagine di Gesù adulto, già impegnato nel ministero della predicazione... Ogni anno ripeto che il Natale non è la festa dei bambini; con tutto il rispetto per i bambini, considerare il Natale la loro festa è riduttivo, e rischia di focalizzare l'attenzione, sulla tenerezza verso l'infanzia, piuttosto che su Dio che si fa uomo,... E chi non ha bambini? Chi non ha bambini non può capire! E sia. Ma i Vangeli del Natale presentano il fatto secondo modalità e particolari a dir poco inquietanti. Le circostanze nelle quali il Figlio di Dio e di Maria viene al mondo sono drammatiche e l'evento accade in una congiuntura sociale e politica che non favorì certo l'attenzione del popolo, non ne suscitò la devozione, tantomeno la fede. L'Impero era alle prese con il censimento: immaginate milioni di persone, popoli diversi, che parlavano lingue diverse, in viaggio verso il rispettivo paese d'origine, per apporre la firma sul registro. Secondo la fede ebraica, il censimento è un vero e proprio affronto a Dio (cfr. 2Sam 24), perché esprime il potere di vita e di morte sul popolo, nelle mani del re, un potere che la fede riconosce soltanto a Dio. Il fatto che la nascita di Gesù avvenga proprio durante il censimento non può essere un dettaglio: costituisce la risposta di Dio all'orgoglio dei potenti e alla pretesa del controllo - una sorta di "grande fratello" - tipica di chi gestisce la politica. La dinamica dei fatti, anche questa si presta a due interpretazioni, non separabili, come le coordinate di un grafico, all'interno del quale si sviluppa la curva geometrica che chiamiamo Incarnazione: le coordinate sono sempre le stesse: una rappresenta l'ostilità degli uomini nei confronti del Figlio di Dio; l'altra, invece, la volontà provvidenziale dell'Onnipotente; provo a spiegarmi. Il fatto: Maria e Giuseppe non trovano posto in un albergo per l'affluenza straordinaria provocata dal censimento. Potrebbe essere un fatto che con la fede non ha nulla a che fare... È verosimile pensare che Giuseppe e Maria fossero degli emeriti sconosciuti, agli occhi dei Betlemmiti... Dunque, nessun privilegio per loro, neanche di fronte a questa ragazza in avanzato stato interessante. La storia di Dio si dipana all'interno di una storia di uomini, che apparentemente non ha nulla di religioso. Il senso teologico c'è, ed è duplice: sul versante umano, emerge il rifiuto nei confronti di quella famiglia povera e bisognosa di un alloggio; alla luce del Vangelo di Matteo, cap.25, rifiutare l'accoglienza significa rifiutare Cristo. Ecco la componente umana collocata su uno degli assi del nostro grafico. La volontà di Dio: il progetto di salvezza concepito dall'eternità e programmato per quel tempo preciso, non può essere compromesso a motivo del rifiuto degli uomini; Gesù sarebbe nato nonostante tutto. Ma sarebbe nato lontano dai giochi di potere, lontano dagli affari pubblici, lontano dal caos frenetico della società. Lontano da noi? Quel bambino avrebbe ricevuto l'omaggio dei pastori, coloro che non facevano parte della comunità, almeno non ufficialmente: per loro nessun censimento, nessuna tutela sociale, nessun diritto. I pastori non erano padroni di niente, neppure di una identità civile... Questi poveri si accorgono di Gesù, accorrono, lo adorano, lo servono... Per loro, il Cielo si illumina e i cori angelici intonano l'Alleluja. Più tardi, saranno ancora degli stranieri, dei non-appartenenti, i Magi, ad accorrere, probabilmente da oltre i confini dell'Impero, per rendere omaggio al neonato-Re. In questa chimica strana, certo non facile, dove volontà opposte - quella umana e quella divina - si incontrano e scontrano, si realizza la salvezza: il Natale del Signore e la sua morte in croce rappresentano l'inizio e la fine dei questa curva geometrica, con la quale rappresentiamo la vicenda storica di Cristo. Oggi celebriamo l'inizio; ma già all'inizio la vicenda è segnata, la direzione è precisa, l'esito scontato. L'umanità non accetta la manifestazione di Dio. L'umanità vuole un segno da Cielo (cfr. Mt 12,38-40), ma quando il Cielo invia il segno, lo rifiuta, perché non è quello che si attendeva... Ecco la morale della favola chiamata Natale. Ma questa non è una favola! ci siamo anche noi. "Abbiamo ricevuto grazia su grazia", scrive Giovanni. Chiudo con un'ultima affermazione che tiene insieme qualcosa che insieme non può stare, come le rette perpendicolari del nostro grafico: partite dalla stessa origine, ma dirette secondo tracciati che divergono sempre più: "La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.": la legge non basta, Mosè non basta, come una retta soltanto non basta per tracciare un grafico; ci vuole anche l'altra, la retta di Dio, la Grazia e la Verità. Proviamo ancora a tenerle insieme. È difficile, lo sappiamo,... Ma ogni anno il Vangelo torna a ripeterci che è possibile. La speranza è l'ingrediente necessario per celebrare Natale. Buona speranza a tutti! |