Omelia (05-01-2020)
padre Gian Franco Scarpitta
L'Eternità entra nel tempo per noi

Ma chi è poi questo Bambino così preconizzato al punto da apportare uno sconvolgimento nella storia e nella vita dell'uomo? Lo si vede esile nella grotta di Betlemme, abbandonato alle braccia solerti di una mamma e alle premure di un papà che si prenderà cura di lui, ma allo stesso tempo riscontriamo che è anche oggetto di attenzione e meta di pellegrinaggio da parte di tanta gente dai luoghi vicini e lontani. I pastori accorrono a lui quando l'angelo ha annunciato la sua nascita a beneficio loro e di tutti gli uomini di buona volontà; così pure altre persone presenti per inciso gli rendono omaggio e grande attenzione egli riceverà anche dai Magi, sapienti illuminati che dall'Oriente arriveranno appositamente per adorarlo. Per adorare chi, esattamente? Erode è su tutte le furie e manda a sterminare tutti i bimbi appena nati che vengono colpiti inesorabilmente a fil di spada, perché sa di questo Bambino come un possibile usurpatore del trono e anche in questo il Fanciullo si rende addirittura oggetto di sospetto e di trepidazione.
Ma perché poi Erode si impaurisce di questo Fanciullo indifeso e sottomesso? Chi è? Risponde a tutte queste domande la presente liturgia, le cui letture ci introducono nel mistero stesso del Cristo Salvatore nato a Betlemme.
Giovanni e il testo del Siracide ci illustrano infatti che Cristo, prima ancora di venire al mondo da Maria, sussisteva sin dall'eternità come la Sapienza attraverso la quale Dio aveva creato il mondo, Sapienza che pur restando trascendente ha voluto inabitare nel mondo e "porre la sua tenda in mezzo agli uomini", ossia vivere assieme e compartire assieme a loro.
La Sapienza è eterna assieme a Dio, possiamo dire che è Dio stesso. Essa, che era presente al momento della creazione viene associata nella Scrittura al Verbo e identificata con Questi, sia per l'eternità che la caratterizza sia soprattutto per la "dimora" che essa viene ad instaurare in mezzo agli uomini; essa non può essere allora che il Verbo di Dio incarnato che prende il nome di Gesù e che ci raggiunge nella dimensione storica dell'era di Augusto e nella geografia della cittadina di Betlemme dove avviene questo evento straordinario in una grotta sperduta.
Dio Padre, per mezzo del Figlio ad opera dello Spirito Santo aveva posto in essere tutta la creazione e ogni cosa è insita in lui, che è Provvidenza. Quindi Gesù Cristo, Verbo Eterno del Padre è anche Dio con il Padre e lo Spirito. Per meglio intenderci, Dio è dalla sua origine Uno solo eppure anche una Comunità di Persone uguali e distinte: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Una di queste tre Persone, il Figlio, si è fatta carne per abitare in mezzo a noi: Cristo è il Verbo che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Il termine "abitare" letteralmente equivale a "porre la propria tenda", di conseguenza vivere nel contesto pienamente umano, rendersi uomo fra gli uomini e come tale vivere in tutto per tutto. "Carne" indica la realtà cruda dell'umanità: debole, corruttibile, mortale e indica quindi non l'uomo astratto, ideale o immaginario, ma l'uomo concreto e attuale. Cristo insomma è Dio stesso che si è fatto uomo, ossia debole, fragile, vulnerabile e sottomesso anche se non ha assunto di noi la peccaminosità e l'imperfezione.
Ecco allora la risposta agli interrogativi intorno a Gesù Bambino: gli si rende onore perché lui è il Verbo divino fattosi uomo, l'Eternità entrata nel tempo, l'Indicibile che ha assunto l'effimero, la Gloria che vive adesso la precarietà e l'abbassamento, il Cielo Infinito che ha raggiunto la terra, insomma la divinità che tutto ha assunto in pieno l'umanità. Diceva Terenzio: "Uomo sono, nulla di ciò che è umano mi è estraneo"; a Dio fatto carne non è estraneo nulla di questa umanità, fatta però eccezione per il peccato, unica realtà non assunta nell'incarnazione.
. A Betlemme si verifica infatti che Dio, in se misterioso e ineffabile, si avvicina all'uomo e si rende manifesto tangibilmente, in modo tale che l'uomo immediatamente possa aderirvi. Cosa c'è infatti di più manifesto e sensibilmente esperibile per l'uomo se non il fatto che Dio si è reso uomo? Cos'altro più eloquente se non Dio che assume le vestigia di un bambino, l'Infinito e l'Eterno che entra nella nostra storia e si sottomette ai nostri calendari e alle nostre misure spazio temporali? Nel Natale si concentra tutto il mistero della rivelazione, che è il concedersi totale di Dio all'uomo, l'instaurare relazioni amichevoli con noi, l'intraprendere cammini e percorsi di solidarietà e di amicizia con chi deve assolutamente essere recuperato.
In Gesù Bambino quindi Dio non è più lontano e irraggiungibile, ma diviene nostro amico e alleato, anzi egli stesso facendosi uomo aspira a che noi stessi ci divinizziamo assumendo sempre più dimestichezza e affabilità con il Mistero Grande e Ineffabile dell'Eternità. Diceva Sant'Agostino che di Dio noi portiamo l'insegna perché rechiamo in noi stessi la Trinità medesima e di questa prerogativa del divino siamo ricolmi e santificati, siamo chiamati a vivere sulla terra la vita stessa di Dio. Vivere quindi nella sapienza e nella radicalità che ci dischiude l'ingresso alla vita ora e per sempre.