Omelia (05-01-2020) |
mons. Roberto Brunelli |
E venne ad abitare in mezzo a noi Le celebrazioni del periodo natalizio sono ciascuna un diverso approfondimento del tema centrale: l'ingresso nel mondo del Redentore. Quella di oggi si colloca tra due celebrazioni che, non cadendo di domenica, non abbiamo avuto modo di segnalare e commentare: Capodanno e l'Epifania. Per la verità, sotto il profilo religioso il 1° gennaio è festa non perché è il primo giorno dell'anno nuovo (in proposito, molti auguri a tutti i lettori), ma perché è l'ottavo giorno dopo Natale, che per antichissima tradizione, anche quando l'anno civile cominciava in un giorno diverso, è dedicato a celebrare la Madre del Redentore, cioè Maria in quanto Madre di Dio. E' questo, tra i suoi titoli di gloria, il maggiore, riconosciutole già l'anno 441 nel Concilio di Efeso: è il maggiore, e perciò sta alla base delle altre grandi feste a lei dedicate nel corso dell'anno: Dio ha preservato Maria dal peccato originale (vale a dire, è l'Immacolata) e l'ha portata con sé (vale a dire, è l'Assunta) proprio in quanto Madre del suo Figlio. Anche la solennità dell'Epifania si collega a quella del Natale; ne è anzi quasi un duplicato, venutoci dall'oriente. Ma essi presentano anche una differenza, e non trascurabile: mentre il secondo celebra il fatto di quella nascita, la prima ne dice il perché, e spiega che il Figlio di Dio si è fatto uomo non per restare nascosto, o rivelarsi al solo popolo d'Israele che da secoli attendeva il Messia, ma per farsi conoscere, manifestarsi (la parola Epifania significa appunto manifestazione) a tutti i popoli, di tutti i tempi e di tutti i Paesi. Deriva da qui il compito fondamentale, anzi la stessa esistenza della Chiesa: tutti i suoi aderenti, dal papa all'ultimo dei battezzati, hanno il compito di far conoscere a tutti, perché tutti la possano accogliere, l'infinita bontà di Dio, fattosi uomo per salvare l'intera umanità. Come la solennità che l'ha preceduta e quella che la seguirà, anche la domenica odierna si collega al Natale. Lo fa principalmente leggendo l'inizio del vangelo secondo Giovanni (versetti 1-18), il quale, a differenza degli altri evangelisti, non si limita a riferire quanto è avvenuto a Betlemme, ma comincia da molto prima, dichiarando apertamente chi è quel Bambino: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. (...) E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato". In altri termini: il Bambino nato a Betlemme è il Verbo, cioè la Parola, che Dio ha pronunciato per manifestarsi: è, come già l'aveva presentato secoli prima il profeta Isaia, l'Emmanuele, cioè Dio-con-noi. E allora è importante aprire bene le orecchie, impegnare tutta la propria intelligenza per conoscere e capire quella Parola. Sconcerta costatare che c'è chi non se ne cura e vive come se Dio non ci fosse, magari avanzando l'egoistica piccina motivazione che "non serve a niente", perché non fa quello che pare a noi. E' nel nostro interesse, invece, rendersi conto che Dio non esiste per "servire" a qualche cosa di nostro gusto o convenienza: non è il medico dei casi disperati, non è l'inadeguato supplente di politici incapaci, non è l'agenzia di assicurazioni da garantirsi con rosari o pellegrinaggi, non è la provvisoria risposta a quello che "per il momento" non capiamo o non riusciamo a fare, non è il capriccioso tiranno che fa o disfa senza regole comprensibili. Il Bambino nato a Betlemme è venuto a rivelarci che Dio è Padre, il Padre suo e Padre nostro, pronto ad abbracciare chi lo accoglie e si affida a lui. Si affida: vale a dire si fida, cioè ha fede, nella Parola che ci ha mandato. |