Omelia (19-01-2003) |
Paolo Curtaz |
Andiamo a vedere! Ripreso il solito "tran-tran", iniziamo il tempo ordinario sentendoci "bene-amati" da Dio Padre che dice a ciascuno di noi"sono contento di te" e questa sua assenza di giudizio, questo suo non porre condizioni per amarci (cosa piuttosto inusuale tra noi uomini!) ci cambia dentro, ci spinge a convertirci. Oggi Giovanni ci racconta della sua vocazione, del suo incontro col Rabbì Gesù. Lo avete sentito: discepoli del Battista, Andrea e Giovanni seguono l'indicazione del loro Maestro: "Ecco l'Agnello di Dio!". Per incontrare il Cristo dobbiamo necessariamente fidarci delle indicazioni di qualcuno, dobbiamo metterci all'ascolto, alla scuola di qualcuno che conosca i sentieri dell'interiorità meglio di noi. Giovanni indica, ma sta ai discepoli muoversi, seguire Gesù. Quando un'esperienza forte, una omelia, un discorso di un amico cristiano ci indicano il Cristo, sta a noi muoverci, andare incontro. Una volta raggiunto Gesù, questi si volta e - sorprendentemente, - chiede loro: "Che cercate?". Potremmo a ragione tradurre "Che volete?". Già: cosa cerchiamo quando ci mettiamo alla ricerca di Gesù? Chi cerchiamo veramente? Una domanda all'apparenza dura e che pure rivela il profondo rispetto che Gesù ha nei confronti della nostra umanità. Può succedere, e lo vediamo, che la fede non sia ricerca, ma rifugio; che Dio non diventi Signore ma padrone; che la sua azione non sia grazia ma supplenza alle mie difficoltà... esiste, cioè, un modo di avvicinarsi alla fede che non ci fa crescere come uomini, ma che ci fa fuggire i problemi. Il Signore mette a fuoco il senso della ricerca dei due discepoli, li invita a non lasciarsi andare al facile entusiasmo ma a riflettere sulla loro sequela. Che bello! Anche per noi la ricerca della fede può essere un momento passeggero, euforico, legato a un momento particolarmente carico di emotività. Il Signore ci scrolla: vuole accanto a sé degli uomini consapevoli delle loro scelte. La risposta dei discepoli rivela tutta l'insicurezza della loro scelta: "Maestro, dove abiti?". Non cogliete una richiesta di certezze in questa domanda? Un dire: "Prima di seguirti, facci vedere dove ci conduci"? Quanto bisogno di certezze abbiamo prima di poterci fidare... Quante "se" e "ma" mettiamo prima di dire il nostro "sì" definitivo al Signore. E' lui che allora come oggi di risponde: "Venite a vedere". Non chiedere, fidati, muoviti, fa' diventare questa ricerca un'esperienza, investi... La fede - quante volte lo dico! - non è un "fare", un "sapere" ma un "conoscere". Noi per primi siamo chiamati ad andare a vedere, noi per primi siamo chiamati a fare l'esperienza della sequela. Ed essi andarono videro e restarono con lui. Dopo essersi fidati restano, accettano, si lasciano coinvolgere. L'annotazione finale di Giovanni è simpaticissima: "erano circa le quattro del pomeriggio". Quel giorno, quell'istante, è così importante che segna l'inizio di una vita nuova, sono passati forse sessant'anni da quell'evento e il discepolo ricorda l'ora precisa: tutto è cambiato, ormai, per Giovanni e Andrea: quel giorno è stato come l'inizio di una nuova Creazione. Per chi incontra il Signore i giorni non sono più uguali, ma diventano gravidi di una luce nuova. Ecco ciò che ci attende nell'ordinarietà del nostro tempo: l'incontro con il Signore, l'esperienza della sequela. Se sapremo ogni giorno spalancare gli occhi e riconoscere l'Agnello potremo cambiare la nostra esperienza di vita nell'autenticità e nella luce. |