Omelia (05-01-2020)
don Luciano Cantini
Abbiamo contemplato la sua gloria

In principio

Nella nostra fantasia, nei nostri ricordi, abbiamo un'idea del Natale piuttosto legata al vangelo di Luca che leggiamo nella messa della notte: il Bambino nella stalla, i pastori, gli angeli. Questa immagine del Natale si è scolpita nella memoria insieme ai canti e agli addobbi, ci rende il cuore tenero, forse più disponibile ma lascia in noi la sensazione di una festività esteriore, un po' nostalgica, cui molto deve la coreografia di contorno. Non a caso la liturgia, nel giorno di Natale, ci fa leggere l'inizio del vangelo di Giovanni e che oggi ci è di nuovo riproposto alla nostra riflessione perché è lontano dalle classiche immagini che fanno la coreografia di questo tempo per andare «en archē» - «In principio».

È la stessa espressione con cui ha inizio la Bibbia. Non è una questione meramente cronologica: l'atto in cui Dio dà il via a tutta la creazione e dunque anche al tempo e alla storia, piuttosto il fondamento del tutto, perché ci dice il prima che ci fosse un principio, ossia prima del tempo stesso.

«In principio», prima della creazione del mondo, prima di ogni cosa, da sempre, esisteva il "Verbo". Verbo è una parola arcaica, non più in uso nel linguaggio comune che oggi ha perso di significato, traduce il termine greco «Logos», che in italiano viene tradotto anche con "Parola". Il Verbo, per Giovanni, esisteva prima che ci fosse qualsiasi inizio, prima di ogni cosa. Giovanni ci porta alle soglie della storia, fin nelle profondità di Dio.


In lui era la vita

quando sentiamo la parola "vita" in un contesto religioso, diamo spesso una lettura spirituale e pensiamo alla vita dell'anima, alla vita eterna alle cose elevate, ma qui si parla semplicemente della vita di tutti i giorni, quella che ci fa respirare, che ci mette in relazione con gli altri. Qualsiasi sia la nostra esperienza, qualsiasi sia il modo di vivere, tutto proviene e sottostà all'opera creativa perché tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

L'affermazione sconvolgente sta proprio nella partecipazione piena e totale della quotidianità, di ciò che sembra banale, semplice, senza importanza, come in famiglia in cui si condividono i momenti importanti, le cose impegnative, i fatti solenni ma soprattutto lo svegliarsi al mattino, i pasti, la confidenza, la comunione.

Il Verbo vuole essere la nostra vita, desidera tenerla sotto il suo sguardo, sotto la sua parola, di farne una luce: la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.


Si fece carne

In questa "parola" c'è tutta la bellezza dell'incarnazione ma anche la forza del mistero pasquale perché si dice che fin da subito che il Verbo non è accolto; l'uomo ha in testa un suo Dio, quello che ha immaginato tra fumi di incenso, bagliori d'oro e cori angelici.

Il Verbo si fece carne è espressione troppo cruda per entrare nel cuore dell'uomo, eppure risuona il grido di Adamo davanti alla donna: Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne (Gen 2,23). Come può un Dio vestire gli stessi abiti dell'uomo, giocare come un bambino, ridere e piangere, come un uomo?

Il Verbo si fece carne per dare a noi, a ciascuno di noi, nessuno escluso, la luce della sua vita, la sovrabbondanza di grazia e di amore di Dio. Questa sua "gloria" che noi abbiamo contemplato ha la dimensione dell'amore infinito, la totalità del dono, il volto della croce pieno di grazia e di verità.