Omelia (02-02-2020) |
diac. Vito Calella |
Gesù Luce contestata, appello alla nostra consegna Simeone è uomo «pio e giusto» (Lc 2, 25), cioè paziente e perseverante nella preghiera sulla parola di Dio (pio) e uomo di fede (giusto). La sua pratica orante sulla parola di Dio si rivela dalle parole del canto di benedizione che recitano o cantano gli oranti della compieta, nella liturgia della ore. Ci mostrano un uomo che meditava e custodiva nel suo cuore e nella sua mente le parole del profeta Isaia, per mezzo del quale Dio prometteva: «Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra» (Is 49,6); Simeone contempla la promessa compiuta e prega dicendo: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparato davanti a tutti i popoli, luce delle genti per la rivelazione» (Lc 2,30-32a). Dio prometteva, per mezzo di Isaia: «Allora si rivelerà la gloria del Signore ed ogni uomo la vedrà» (Is 40,5), «I popoli vedranno la tua giustizia e tutti i re la tua gloria» (Is 62,2). Simeone contempla la promessa compiuta pregando: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza, [...] gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2,30.32b). La vita di fede di Simeone lo rende uomo giusto, cioè uomo che, grazie alla sua preghiera, riesce a consegnare la sua libertà e il suo agire all'azione misteriosa in lui dello Spirito Santo, citato ben tre volte: «Lo Spirito Santo era sopra di lui. Era stato avvertito dallo Spirito Santo, [...]. Mosso dallo Spirito, venne al tempio» (Lc 2,25b-26a.27a). La preghiera e l'azione dello Spirito Santo hanno trasformato il suo sguardo. I suoi occhi hanno visto in Gesù bambino, presentato al tempio, lo strumento di salvezza preparato dal Padre per realizzare il suo disegno di voler stare in comunione con tutta l'umanità. Si, perché la visione del Messia del Signore, contemplata nel bambino Gesù, gli fa sentire tutta la responsabilità del popolo di Israele, a cui appartiene, di accettare o rifiutare quella luce vera venuta nel mondo. Di fatto, sappiamo che il rifiuto di tanti giudei ad accettare Gesù come Messia del Signore, provocherà di fatto la missione evangelizzatrice a tutte le genti, conforme è attestato negli Atti degli Apostoli e soprattutto nell'esperienza missionaria di Paolo. Il progetto del Padre, realizzato per mezzo di Cristo, suo Figlio, è la salvezza offerta a tutti i popoli. Simeone inizia benedicendo Dio con queste parole: «Ora Signore, tu congedi il tuo schiavo nella pace, secondo la tua parola» (Lc 2,29). Simeone si autodefinisce «schiavo finalmente congedato». Prega Dio sentendosi unito a tutto il suo popolo Israele. È individuo in grado di sentire in sé l'Israele a cui appartiene. Solo un uomo di preghiera può sentir se stesso in comunione con tutti. Apparentemente egli vede Gesù, portato in braccio da Maria, custodito da Giuseppe. Guidato dallo Spirito Santo vede in profondità. Intuisce infatti la realizzazione della profezia del profeta Malachia che diceva: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l'angelo dell'alleanza, che voi sospirate, eccolo venire» (Ml 3,1) È come se fosse finito il lungo tempo dell'attesa del messia da parte di tutto il popolo di Israele, discendente di Abramo. Tutto l'arco dell'Antico Testamento è paragonato al servizio forzato di uno schiavo nella casa del padrone. Questo tempo è finito, è arrivata l'ora del congedo, della liberazione. Guidato dallo Spirito Santo, fra tutti i bambini che in quello stesso giorno venivano presentati al tempio, Simeone sente la profonda pace nel cuore perché si avvera ciò che lui sapeva per ispirazione divina: «non avrebbe visto la morte prima di aver visto il Messia del Signore!» (Lc 2,26). Ma cosa contemplarono gli occhi di Simeone di fronte al corpo del bambino Gesù? Quel corpicino protetto dai suoi genitori, fragile e vulnerabile come tutti i neonati, era lo strumento preparato da Dio in vista della salvezza di tutti i popoli. Dice Simeone: «I miei occhi hanno visto lo strumento della tua salvezza, che hai preparato davanti a tutti i popoli» (Lc 2,30). La salvezza non è più soltanto per il popolo di Israele, di cui Simeone si sente rappresentante. Il popolo di Israele custodiva la promessa di salvezza per tutta l'umanità perché sapeva che Dio aveva parlato in questi termini al patriarca Abramo: «In te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gn 12,3). La salvezza, offerta dal Dio di Abramo a tutti i popoli, consiste nella vittoria della comunione su ogni forma di divisione. È cioè la nuova ed eterna alleanza, che si compirà attraverso la dura prova della morte di croce, quando quel corpo umano e divino di Gesù, ancora bambino, da adulto diventerà una volta per tutte il definitivo e ultimo sacrificio di espiazione per la remissione dei peccati di tutta l'umanità. Ce lo rivela la Parola di Dio della lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato e vogliamo custodire nel cuore e nella mente: «Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. [...]Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb 2, 14-15. 17-18) La morte sarà vinta con la risurrezione del corpo, segnato dalla crocifissione. Solo allora risplenderà la pienezza di luce del Messia: «Luce delle genti, per la rivelazione» (Lc 2, 32a) del progetto di comunione del Padre, e «gloria del [tuo] popolo Israele» (Lc 2, 32b). La luce splendente del corpo trasfigurato del crocifisso risorto illuminerà di significato tutto ciò che quel corpo umano e divino di Gesù ha detto e fatto, da quando era un bambino fino all'atto estremo della grande prova della croce! Gesù Cristo è, ora e per sempre, luce delle genti, luce del mondo, come aveva ben promesso il profeta Isaia additando il servo di JHWH, chiamato ad essere «luce delle genti» (Is 42,6 e 49,6). Essere «luce» comporta dei rischi per chi si dona come tale e per chi la accoglie. Con la sua corporeità vivente Gesù di Nazaret diventò segno luminoso, ma contestato della rivelazione di Dio, da lui rivelato come Padre sproporzionatamente ricco di misericordia. Quello stesso corpo di Gesù, ora bambino, domani adulto, luce contestata, risplenderà tra il popolo di Israele, con gesti e parole. Sarà luce contestata che romperà tutte le barriere di separazione tra giusti e peccatori, puri ed impuri, uomini e donne, popolo e casta sacerdotale levitica. Ciò provocò la reazione e la chiusura da parte delle autorità religiose del tempo a quella «luce vera che illumina ogni uomo, venuta nel mondo» (Gv 1,9): «Venne fra i suoi e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1, 11). Per loro Gesù fu pietra di inciampo, fu «luce per la caduta» (Lc 2, 34). Lo fu anche per i giudei delle sinagoghe visitate da Paolo nei suoi primi viaggi missionari. Il rifiuto di tanti giudei fece riflettere l'apostolo Paolo sul perché di così tanta chiusura (Rm 9-11). È un mistero che solo il Padre può giudicare. Ma di fatto, anche dalla linea storta della «caduta di Israele», cioè del rifiuto di Gesù come Messia del Signore, avvenne la diffusione del cristianesimo tra tutte le genti del mondo. Ma non c'è solo il dramma del rifiuto del popolo di Israele! Di fronte alla Luce del mondo che è Cristo, Messia del Padre, c'è un avvertimento serio alla responsabilità del nostro essere liberi di accogliere o respingere questa luce ancor oggi contetata, che è Gesù Cristo per la nostra vita. La scelta possa essere oggi e sempre quella dell'accoglienza, perché la nostra consegna al Padre, per mezzo del Cristo morto, sepolto e risuscitato, possa diventare nella nostra esistenza «luce per la risurrezione». Ci vogliamo identificare allora in Simeone, in Anna, figura bellissima dei poveri più poveri dei quali è adesso il regno di Dio. Ci vogliamo identificare in quei «molti in Israele» che riconobbero Gesù luce e la accolsero. Tra tutti «i molti di Israele», che fecero questo atto di resa, c'è soprattutto Maria, la madre sua e nostra madre. Maria ci insegna che la nostra consegna fiduciosa a Gesù luce delle genti è una «spada a doppio taglio», perché sperimenteremo giorno dopo giorno, allo stesso tempo, la gioia della nuova ed eterna alleanza, la gioia dell'unità nella carità insieme alla sofferenza della persecuzione a causa di questa giustizia del regno di Dio, che si traduce in pratiche di misericordia, in condivisione sincera dei nostri cuori frantumati e sanati dalla tenerezza del Padre e in pazienti tessiture di relazioni di rispetto dell'altro (Mt 5, 7-10). Sperimenteremo la spada dolorosa della sofferenza di qualsiasi croce (ingiustizia, disgrazia, malattia fisica, psicologica, mentale in noi o negli altri prossimi a noi), come Maria sotto lo scandalo e stoltezza della croce ingiusta, inferta contro il suo figlio. Ma, essendoci consegnati alla Luce vera, che è Cristo risuscitato, sperimenteremo la loro trasfigurazione, continuando a starci fino in fondo in queste croci dolorose e taglienti della nostra esistenza. Sì, perché il Padre attende solo questo nostro atto fiducioso di consegna della nostra libertà alla Luce vera che è il suo Figlio amato. Appena consegnati, ogni croce, anche continuando ad essere croce, diventa strumento di salvezza per noi e per l'umanità, perché la gratuità del suo amore c'è e vince ogni male, avendo vinto una volta per tutte la morte. |