Omelia (19-01-2003) |
Totustuus |
II Domenica Tempo Ordinario Anno B Nesso tra le letture La liturgia della seconda domenica dell'anno completa tradizionalmente la tripla rivelazione di Gesù al mondo "oggi" (vedi l'omelia della Domenica dell'Epifania; sebbene solo il Ciclo C proponga il brano della festa di nozze a Cana, è sempre l'inizio del Vangelo di Giovanni che caratterizza questa domenica). Nel nostro anno - Ciclo B- l'enfasi è posta sulla sua rivelazione all'individuo, che è chiamato a incontrare il Signore in un modo più personale (prima lettura, Vangelo). Anche se la seconda lettura, nelle domeniche del Tempo Ordinario, offre sempre un brano delle lettere di san Paolo, e di solito non è direttamente collegata al Vangelo, né alla prima lettura, l'"analogia della fede" (cf. CCC 114) e l'unità della Sacra Scrittura implicano che ci sono sempre vari punti di collegamento tra i diversi aspetti del mistero cristiano. In questo caso, si potrebbe riflettere sul modo in cui Gesù, come Dio, quando nomina e chiamare un individuo, "conquista" quella persona in tal maniera che, da quel momento in poi, questa "appartiene" al Signore in modo nuovo e più profondo: un'appartenenza che non è limitata allo spirito, ma si estende anche al nostro essere corporeo (seconda lettura). La nostra abilità di rispondere positivamente a tale chiamata è radicata nella grazia che scorre fino a noi dalla risposta di totale disponibilità del Figlio alla chiamata del Padre suo (salmo). Messaggio dottrinale Nel brano evangelico non accade davvero nulla di impressionante. Non si raccontano miracoli, né si riportano eloquenti sermoni. Non ci sono nascite, né morti, né matrimoni. Si narra solo di alcuni incontri di persone, anche abbastanza fugaci. Tuttavia, per l'evangelista Giovanni - uno dei due che seguì il passante indicato dal Battista -, il suo incontro fu sufficientemente "memorabile", se, alla stesura del vangelo nella sua vecchiaia, rammentando il suo primo incontro con Gesù, dichiara sicuro che "erano circa le quattro del pomeriggio". Per i primi discepoli, fu una vero epifania: "Abbiamo trovato il Messia". Nessuno di loro può trattenere l'eccitazione. Ciascuno si sente a sua volta spinto ad andare a trovare un amico o un fratello per raccontargli la notizia (Filippo va da Natanaele, Andrea da Simone). Ciò è sempre - particolarmente nel vangelo di Giovanni, vedi per esempio 4,28 ss.; 20,17 ss. - il segno che una persona ha davvero incontrato il Signore e lo ha conosciuto. Sembrano essere incontri casuali, ma nello zelo di Gesù per il regno, chiunque egli incontri è invitato a salire a bordo della sua barca, quanto prima tanto meglio. I discepoli erano piuttosto giovani; Samuele era ancora più giovane, forse neppure adolescente. Dio non ha limiti di età - Egli può suscitare santi tra i bambini, e lo fa - e il saggio sacerdote Eli non tenta di approfittare dell'ingenuità del giovanetto, quando si rende conto di quel che sta accadendo. Il consiglio che egli dà al ragazzo è il miglior consiglio che chiunque abbia cura, o abbia a cuore, un giovane, possa mai dare: quando Dio parla, rispondi con prontezza. "Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta". Quando Dio chiama qualcuno per nome - e quando Egli dà un nome nuovo, indicativo della missione che ha in serbo per quella persona (e ha una missione in serbo per ogni essere umano) - non può esserci davvero altra risposta, a meno che non sia una equivalente, che quella di Cristo: "Eccomi, Signore, vengo a compiere la tua volontà". E da quel momento in poi viviamo come persone "conquistate" dal Signore, così che anche dal rispetto che riserviamo al nostro corpo - come da quello per il nostro prossimo - sia evidente che apparteniamo a Lui. Catechesi. La vocazione cristiana comporta per tutti un impegno ad amare - di solito amore coniugale - e alla castità (CCC 2392; 1603-04; 2331-59); non pochi sono chiamati alla verginità consacrata e al servizio religioso (915-6; 1578-79; vedi sotto). Suggerimenti pastorali Il fatto che uno dei nostri inni più popolari riecheggi il tema odierno della "chiamata" è indicativo di quanto essa corrisponda ad un'esigenza profonda della persona umana: essere chiamato, per nome, da Dio. Ogni uomo e ogni donna ha bisogno di incontrare Cristo, il Redentore, in maniera veramente personale. È improbabile che tale chiamata sia subito riconosciuta come qualcosa di straordinario; solamente col tempo si comprende chi è che sta chiamando, e talvolta solo con l'aiuto di un'altra persona. Tutti noi - non solo i giovani che vivono nel seminario o nel noviziato del convento - abbiamo una vocazione, una specifica chiamata dal Signore per seguirlo e servirlo in un modo ben preciso e particolare. Spesso troviamo questo "modo" prima ancora che ci venga in mente che esso ha qualcosa a che fare con la nostra "vocazione". Attraverso una riflessione più matura e consapevole, tutti coloro che non l'hanno ancora compreso, trarranno enorme beneficio dal cominciare a vivere il proprio matrimonio, la propria occupazione professionale, e le proprie relazioni sociali come una chiamata da parte del Signore, e come il "luogo" in cui continueranno ad incontrarlo. Analogamente, la chiamata a prender parte ad un servizio apostolico, individualmente o nella cooperazione con un gruppo parrocchiale o con qualche altra associazione cattolica, non è qualcosa di "bizzarro" o riservato solamente a pochi eletti, ma segno che non si è cristiani solo nel nome: che la fede di uno è personale e lo conduce a seguire Cristo da vicino. I genitori non dovrebbero sorprendersi, meno ancora preoccuparsi, quando il Signore stabilisce un rapporto coi loro figli: al contrario, come il Battista, dovrebbero essere i primi ad indicarlo loro e ad incoraggiarli a seguirlo. Non dovrebbero sorprendersi, né sconvolgersi, nemmeno quando un sacerdote, una suora o un laico, in cui batta il cuore di Cristo, susciti "incontri casuali", come il Signore stesso, invitando i giovani a considerare la possibilità di seguirlo più da vicino, nel sacerdozio o nella vita consacrata. Infatti, "è in seno alla famiglia che "i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l'esempio, i primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale"" (Vaticano II, Lumen Gentium, 11; CCC 1656). Il Catechismo è così insolitamente esplicito e ripetitivo riguardo a ciò, che non si può far a meno di credere che questo sia un punto vitale per la salute della Chiesa, e che dobbiamo, qunidi, averlo davvero molto a cuore. In esso si dichiara: "2232. I vincoli familiari, sebbene importanti, non sono però assoluti. Quanto più il figlio cresce verso la propria maturità e autonomia umane e spirituali, tanto più la sua specifica vocazione, che viene da Dio, si fa' chiara e forte. I genitori rispetteranno tale chiamata e favoriranno la risposta dei propri figli a seguirla. È necessario convincersi che la prima vocazione del cristiano è di seguire Gesù: "Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me" (Mt 10, 37). 2233. Diventare discepolo di Gesù significa accettare l'invito ad appartenere alla famiglia di Dio, a condurre una vita conforme al suo modo di vivere: "Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre" (Mt 12,49). I genitori accoglieranno e rispetteranno con gioia e rendimento di grazie la chiamata rivolta dal Signore a uno dei figli a seguirlo nella verginità per il Regno, nella vita consacrata o nel ministero sacerdotale". |