Omelia (02-02-2020)
don Giovanni Berti
Il Cuore Del Rito

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"Perché chiedete il Battesimo?" È la prima domanda che sempre rivolgo ai genitori che mi chiedono di battezzare il loro figlio o figlia. A volte ho l'impressione che ci sia più la preoccupazione del "quando" e del "come" ma poco sul "perché" del Battesimo. La domanda sul perché è speculare alla domanda che mi verrebbe da fare, e che talvolta faccio se la confidenza me lo permette, a quei genitori che invece decidono di non battezzare i loro figli: "perché non battezzate vostro figlio o figlia?" Anche se la maggioranza delle famiglie dei nuovi nati italiani ancora chiede alla Chiesa la celebrazione del Battesimo, stanno aumentando quelle coppie di genitori, che pur venendo da famiglie di tradizione cristiana, non chiedono il Battesimo per i loro figli e di fatto non li avviano a nessun sacramento e vita cristiana. Ci sono anche molti che pur avendo chiesto e celebrato il primo dei sacramenti, poi non coltivano nei loro figli l'appartenenza alla Chiesa, non li mandano al catechismo e alle varie tappe sacramentali come la Prima Comunione e Cresima. E allora anche a me stesso chiedo... perché?

Il Battesimo ormai sembra resistere più come tradizione che come piena consapevolezza di appartenenza attiva alla comunità dei discepoli di Gesù. Viene vissuto e anche chiesto come segno culturale ma con sempre minor conoscenza effettiva di cosa si tratta e cosa comporta non solo per chi lo riceve ma anche per chi lo chiede come famiglia.

Giuseppe e Maria portano Gesù al Tempio per adempiere ad una tradizione, e l'evangelista Luca che ci racconta questo episodio rimarca più volte l'aspetto tradizionale di questo gesto, cioè sul "quando" ("quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale") e sul come si svolge ("offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore"). Dicendo questo non si vuole dire che Maria e Giuseppe compiano quella tradizione di riscatto del loro primogenito con superficialità. Entrambi sono dei buoni ebrei e vivono la loro religiosità in modo sincero e allo stesso tempo ossequioso. Il brano proposto si apre e si chiude con la descrizione dell'evento e dei suoi elementi cultuali precisi, e poi tornano alla loro casa per continuare la loro vita normale, come quella di qualsiasi altra povera famiglia ebrea del tempo. Ma è nel cuore del racconto che viene fuori il vero "cuore" di tutto l'evento. Simeone ed Anna, due personaggi che solo qui vengono raccontati, sono il colpo l'ala di tutto il rito, evidenziando il suo "perché". Entrambi sono persone pie e anch'esse inserite nel sistema religioso e cultuale dell'epoca, ma entrambi sono anche pronti a salti spirituali e sono capaci di riconoscere la presenza viva di Dio in tutto quello che li circonda e dentro i riti.

A me piace questo entusiasmo di fede che accende la profezia in Simeone e nell'anziana Anna, cioè la capacità di capire e riconoscere Dio all'opera. Loro capiscono più degli stessi Giuseppe e Maria il perché Gesù è li nel Tempio di Gerusalemme. Dio sta compiendo la sua promessa proprio dentro quel rito così piccolo e ripetitivo come tantissimi altri. Simeone riconosce in mezzo a centinaia di persone (come solitamente era affollato il grandioso Tempio centro religioso di Israele) la presenza viva di Dio. Sente che quel bambino è un segno non solo per coloro che sono nel Tempio ma per ogni uomo e donna del mondo, per le genti intere del mondo. Con poche precise parole delinea la vocazione di Gesù, che è quella di essere segno di contraddizione e di rinnovamento per il popolo di Israele, un popolo che rischiava di morire in una ritualità vuota e ripetitiva e senz'anima. Anche Maria e Giuseppe pur essendo stati anche loro raggiunti dall'annuncio personale di Dio rischiano di vivere in modo ordinario e solo tradizionale quel rito di Presentazione al Tempio di Gesù. Simeone prima e poi anche Anna sono quindi fondamentali per Maria e Giuseppe, per ridare slancio alla loro missione. C'è bisogno di riscoprire il cuore delle tradizioni religiose, che pur essendo belle e fondamentali, pur dovendole sicuramente custodire e difendere, non possono rimanere però dei vuoti contenitori senza un reale "perché". Se non accendiamo di profezia, cioè di visione di Dio, la nostra vita cristiana, questa pian piano si spegne e diventa un museo di luoghi e riti che non servono quasi a nulla.

Quando penso ai genitori che chiedono il Battesimo, così come anche quando penso a me stesso che partecipo alla vita sacramentale della parrocchia, voglio quindi tenere accesa la domanda "Perché?". Perché chiedere il Battesimo? Perché sono cristiano? Cosa mi serve e cosa cambia in me conoscere il Vangelo? Perché vado a messa? Perché...?

Ho bisogno anch'io di incontrare lungo il cammino della mia vita cristiana, fatta di tanti momenti rituali e tradizionali, quale "Simeone" e quale "Anna" che con la loro parola e testimonianza tengano acceso in me il desiderio vivo di Dio, che non spengano l'entusiasmo di vivere la fede e di dirmi cristiano. E so che anch'io ho come vocazione battesimale quella di essere a mia volta un "Simeone e Anna" per coloro che mi sono vicini e che incontro nella vita cristiana. È un mio dovere non solo come prete ma prima di tutto come cristiano di stimolare con le mie parole e il soprattutto con il mio esempio i fratelli e sorelle nella fede, in modo che non spengano anche loro la domanda interiore del "perché" essere e vivere la fede.

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