Omelia (09-04-2020) |
Omelie.org - autori vari |
COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di don Massimo Cautero Agli ebrei pronti per l'esodo serve un agnello per famiglia il cui sangue, sparso sugli architravi delle porte, salverà tutti coloro che stanno "dentro" la case dall'ultima piaga d'Egitto, lo sterminio dei primogeniti. In questi tempi, dove siamo tutti chiusi "in famiglia" cercando di scampare e combattere uno sterminatore subdolo e spietato, siamo chiamati a vivere il nostro triduo Pasquale ed oggi più che mai le nostre famiglie hanno bisogno di un agnello... dell'Agnello! Il ricordo del Primogenito di Dio, Cristo Gesù, che si fa agnello per noi salvandoci con il suo sangue non da uno sterminio qualsiasi ma dalla morte stessa, la sterminatrice per eccellenza, deve aiutarci a trovare una rinnovata speranza che supporti la nostra fede, infiammi il nostro cuore e dia senso a tutto quel male che dobbiamo affrontare per vincerlo! La vittoria dell'Agnello, che si rende evidente la domenica di Pasqua, nella Risurrezione, passa per una cena fra amici, una cena che diventa la "Cena" per eccellenza, l'inizio di un esodo dalla morte alla vita che vedrà il Primogenito aprire la strada al suo popolo, la Chiesa, che nel tempo del pellegrinaggio terreno si nutrirà dell'Agnello stesso aspettando di attraversare, definitivamente, il ponte della vita, della Resurrezione per la Vita eterna. Quello che noi Chiesa celebriamo nella liturgia del Giovedì Santo, è talmente profondo per la nostra fede che senza questo giorno perderemo il senso ed il significato dei "tesori" più importanti e necessari (Eucarestia, sacerdozio, carità fratena e servizio) che ci definiscono e costituiscono come "famiglia" ecclesiale. Quindi fu una cena reale, concreta ma anche simbolica e densa di significati, lo è stato anche per coloro che hanno perpetuato nel tempo - fino a noi! - la memoria della cena stessa, come lo sarà per noi che ne trasmetteremo l'importanza alle generazioni future, una cena di cui, però, l'evangelista San Giovanni vuole sottolineare un particolare significato, quello del servizio, visto che già da anni, al tempo della composizione del suo Vangelo, la Chiesa faceva memoria con le esatte parole di Gesù dell'istituzione dell'Eucarestia, come anche San Paolo nella lettura di oggi ci ricorda. Questo mettere al centro il servizio è, per certi versi, "spiazzante" con il forte simbolismo della lavanda dei piedi. Spiazzante perché nel cuore della vita stessa della Chiesa che è l'Eucarestia, almeno una volta l'anno, con forza sempre inedita e rinnovatrice, tutti sono costretti a guardare e ricordare che non basta "mangiare" ma che questo deve essere sempre accompagnato da una reale volontà di prendere i piedi del prossimo e farne l'oggetto della fede stessa, di quell'esodo verso la resurrezione, dietro al maestro Gesù, che oltre a "mangiare" di Lui ci invita sempre ad amarci l'un l'altro come egli ci ha amato! Un gesto forte, quasi imbarazzante, nel suo concentrarsi su di una parte anatomica umana "non nobile", sempre a contatto con la terra e tutta la sporcizia che da essa raccoglie, ma una scelta che contiene il germe di tutta l'esclusiva genialità che solo il nostro Dio può avere: nessun re o santone si è mai abbassato a tanto se voleva mantenere il suo potere od il suo carisma. Il nostro Dio fonda la sua potenza su di un atto di debolezza profonda, tipico degli schiavi, e non si preoccupa di ciò che possono pensare i suoi chiedendogli, come fa con Pietro, che si oppone al gesto, solo l'obbedienza nel farsi servire. La Chiesa e l'Eucarestia si comprendono in questa circolarità che solo l'amore può superare: servire e lasciarsi servire, superando ogni imbarazzo nel voler lavare via tutto lo sporco che un fratello può raccogliere, superando ogni orgoglio nel farsi lavare via lo sporco che ognuno di noi accumula nel cammino terreno, nella consapevolezza che entrambe gli atteggiamenti sono parte dell'unico destino, dell'unico esodo verso la vita eterna verso la resurrezione. Riflettevo su quanto stiamo vivendo, in questa situazione di minaccia e di emergenza per la pandemia del covid-19, situazione di privazione e di inedita e forzata riflessione non solo sulla nostra vita personale ma, soprattutto, sulla vita di tutti nel mondo e della Chiesa. Quest'anno il Signore ci sta guidando in un esodo in cui siamo chiamati a dare tutti il nostro contributo. La Chiesa non è privata dell'Eucarestia, celebrata senza fedeli dai suoi sacerdoti, ma veniamo interrogati tutti sul desiderio che abbiamo di essa durante questa involontaria privazione, ricevendone i benefici nella misura del desiderio che ne abbiamo; il digiuno quaresimale, con le sue regole e tradizioni, ha lasciato il posto ad inediti digiuni che non ci siamo scelti ma a cui dobbiamo rispondere con amore e speranza. Siamo chiamati a lavarci i piedi reciprocamente nelle nostre case, nelle nostre piccole comunità, nelle nostre cattedrali del quotidiano, costretti allo stesso tempo alla convivenza ed alla lontananza, chiamati ad offrire in sacrificio i nostri egoistici desideri a vantaggio di tutti, di una comunità umana sulla quale, forse, non abbiamo mai riflettuto a fondo come appartenenti e, da cristiani, come "lavandai dei piedi" o, se volete, servitori nell'amore e nella verità. Mentre, come tutti, mi profondo nella lettura dei significati scorrono le immagini dei nuovi "lazzaretti", delle corsie dei reparti di ospedali, delle terapie intensive, da dove un manipolo di noi è chiamato ad anticiparci in quest'esodo Pasquale. Un manipolo fatto di dottori, infermieri e malati, che servono e si fanno servire, in un'immagine iconica della moderna "Lavanda dei Piedi". Vedo anche persone in fila ai supermercati che pazientemente si fanno servire da commessi ed addetti nei loro turni di "servizio". Vedo genitori che servono i loro figli addossandosi le loro paure ed i loro smarrimenti, come vedo figli che si fanno servire dai loro genitori nella fiducia più completa. Vedo persone che con pazienza vanno a servire anziani e persone sole, facendogli la spesa o tenendogli compagnia anche solo col telefono. Insomma vedo questa circolarità del servire come, finalmente, vita quotidiana, non l'eccezione in mezzo a brutte cose -come, purtroppo, ci hanno abituato i media- ma la regola di una quotidianità che combatte un male invisibile con l'amore e la speranza. Scusate, se in questo commento non sono rimasto centrato "sulle scritture", a commentare strettamente le letture di questo Giovedì Santo, ma forse questa è la prima volta nella mia vita che non "vado" a celebrare il Giovedì Santo ma è il Giovedì Santo che viene a celebrare me, e questo è un ulteriore inedito significato di quella Santa Cena di duemila anni fa che non smette mai di farci profondare nei sempiterni significati dell'Amore e della Salvezza. |