Omelia (02-11-2005) |
don Luciano Sanvito |
Il "pane dei morti" Non vi è mai capitato di percorrere strade in mezzo a campi che a volte emanano sgradevoli odori e una puzza quasi insopportabile? Cerchiamo, in genere, di accelerare un po' e speriamo che presto quella situazione finisca. Soffermiamoci un poco a considerare, invece, come oltre quella vampata sgradita, sta una fatica, nel mettere del letame prima sopra e poi sotto il terreno, perché dia frutto: ad esempio, quel panino che sto addentando proprio ora...già...sorridiamo, ma è proprio così. Il vangelo delle beatitudini ci fa contemplare dei frutti "beati"; ma ce ne richiama anche le origini, sotto la terra: là, proprio là sopra, prima, e poi sotterrata, quella materia puzzolente e non dignitosa a vedere, ha fatto il suo lavorìo naturale, pazientemente, contribuendo al nostro sostentamento, anche oggi. "Sotto la neve, pane". Anche dove c'è la situazione più gelida e raggelante, qualcosa si muove verso il futuro e si apre a una nuova dimensione, a una trasformazione; non aleatoria, ma palpabile e gradevole, fruibile e appetitosa al nostro gusto. Gli afflitti sono il letame degli afflitti beati; i perseguitati sono il concime dei perseguitati beati,...Ciò che va a finire sotto la terra, riemerge in modo trasformato per la vita dell'uomo. Ciò che dalla vita viene ora mortificato, messo poi sotto la terra materiale o morale, riemerge a una vita nuova, per un nuovo cammino. Ma non avviene tutto a caso: c'è di mezzo una fatica da fare, un lavoro concreto e umano: quello del contadino. Le beatitudini sono il programma giornaliero del contadino dell'anima, che parte al lavoro mettendo tutto il letame, il concime e i rifiuti organici al posto giusto, perché diano il frutto del suo lavoro. Quello che più non vediamo, agisce nella profondità del terreno materiale del campo, e così anche nel campo dell'anima. Quello che soffriamo diventerà occasione per far crescere nella gioia l'umanità. Chi più non vediamo tra noi fisicamente e giace sotto la terra, riaffiora in frutti di bene e di valori rinnovati per l'umanità. I morti sono coloro che nutrono i viventi. Noi infatti ci cibiamo della loro memoria, della loro commemorazione, del loro ricordo, del nostro desiderio di averli presenti; e in questa volontà spirituale, si rendono a noi concreti come il nostro cibo dell'anima, il nostro sostentamento nel cammino. Quando la nostra memoria gusta queste realtà, accresce il cibo dell'anima. Diventa beata. Grazie ai morti fisici e morali. Morti perché afflitti e morti moralmente, morti perché perseguitati e senza più forze vitali. Concime, per l'uomo. Ma questo programma evangelico del buon contadino nel campo della vita, anche oggi, attraverso di me, si sta nutrendo del pane dell'anima formato dal grano cresciuto nel campo vicino al suo cimitero. |